Racconti dalla Berlinale (parte 1)
Isle of Dogs e Utøya 22. Juli visti dalla nostra inviata al festival
Tra i film in concorso alla 68° edizione della Berlinale, due sono stati i veri e propri colpi di fulmine. E per qualche strana coincidenza, entrambi hanno al centro della storia un’isola. Che sia un luogo di allontanamento, usato per circoscrivere un problema, o che sia invece teatro di un’atroce e reale strage, l’isola è l’ambiente che fa da sfondo a Isle of Dogs di Wes Anderson e a Utøya 22. Juli del norvegese Erik Poppe. Si tratta di due film molto diversi, ma entrambi usano tecniche particolari con grande abilità e raccontano tanto del nostro mondo, facendo breccia nel cuore dello spettatore (o quanto meno in quello di chi scrive).
Isle of Dogs è il nuovo film di Wes Anderson, lungometraggio in stop-motion che ha aperto la Berlinale 2018. Il regista americano ritorna con le mani in pasta all’animazione a passo uno, tecnica che aveva già sperimentato con successo nel 2009 con Fantastic Mr. Fox. Siamo nel Giappone del 2037 e, in seguito a una “influenza canina”, il capo Kobayashi decide di allontanare tutti i cani dalla città e spedirli su Trash Island, un’isola di rifiuti. Il giovane Atari, un bambino di dodici anni, atterra con il suo aeroplanino sull’isola di immondizia alla ricerca di Spot, il suo amico a quattro zampe. Con l’aiuto di alcuni cani dell’isola, Atari farà di tutto per ritrovare il suo amato cagnolino.
A livello visivo, Isle of Dogs è un concentrato di rigore e grazia, e la ben nota “ossessione” di Anderson per la simmetria incontra l’equilibrio della composizione visiva orientale: nel film, infatti, sono presenti influenze della cultura e dell’immaginario giapponese, dai colori sgargianti e le maschere del teatro kabuki ai film di Akira Kurosawa. Tutto magistralmente mescolato e rifinito dall’inconfondibile stile wesandersoniano. Anche la storia e i temi sono vicini agli argomenti trattati da Anderson, in particolare ritorna la riflessione sulla famiglia (qui in versione canina) e sugli outsider, perché i cani del film sono degli emarginati dalla società. Anche se a quattro a zampe, i personaggi dell’universo di Anderson sono sempre bizzarri, mai convenzionali, ironici e intelligenti; a prestare loro le voci ci sono grandi attori, alcuni dei quali hanno già lavorato con il regista, come Bill Murray e Tilda Swinton, mentre altri, fra cui Bryan Cranston, Liev Schreiber, Greta Gerwig, entrano per la prima volta nel magico mondo di Wes Anderson.
Se in Isle of Dogs l’isola diventa luogo simbolico, spazio circoscritto per tutti quelli che sono considerati da emarginare, in Utøya 22. Juli l’omonima isola norvegese è tristemente reale. Il regista Erik Poppe racconta la storia della strage avvenuta il 22 luglio 2011 proprio sull’isola di Utøya, dove si trovava un campo estivo per ragazzi organizzato dalla sezione giovanile del Partito Laburista. Dopo un prologo che mostra immagini di repertorio dell’attentato a Oslo e l’introduzione di alcuni personaggi, la macchina da presa si incolla letteralmente alla protagonista Kaja, impegnata non solo a mettersi in salvo ma anche a cercare la sorella Emilia durante la sparatoria. Il lungo e drammatico piano sequenza che segue senza sosta la disperata ricerca di Kaja dura esattamente 72 minuti, stessa durata della strage reale.
Fin dal primissimo sguardo in macchina di Kaja, il regista porta gli spettatori sull’isola, li invita a partecipare al dolore della storia e ricrea con grande capacità di coinvolgimento il terrore di quella situazione. Erik Poppe compie poi scelte narrative interessanti per lo svolgimento del film: non c’è nessun tipo di pietismo, ma solo l’urgenza di voler raccontare realisticamente e dall’interno un momento di panico, confusione e paura; la minaccia rimane sempre senza volto, senza identità per i ragazzi vittime della strage, non viene mai inquadrata da vicino, appare solo come inquietante ombra portatrice di morte. La decisione di seguire principalmente un solo personaggio, dandogli inoltre una missione precisa, rende Utøya 22. Juli un film coinvolgente e tragico, narrativamente e tecnicamente sorprendente.