Quello che non so di lei
Il gioco della rievocazione
Tratto dal romanzo Da una storia vera di Delphine de Vigan e sceneggiato da Olivier Assayas (con lo stesso regista), Quello che non so di lei (D’après une histoire vraie) ultimo lavoro di Roman Polanski, è la condensazione di una cinefilia devota, stratificata, che strizza continuamente l’occhio allo spettatore più accorto. Delphine Dayrieux (Emmanuelle Seigner) è una scrittrice affermata, in piena crisi creativa, che ha da poco pubblicato il suo ultimo best seller. L’incontro con Lei (Eva Green), ammiratrice ai limiti dello stalking e figura enigmatica dal passato torbido, sarà l’inizio di una discesa infernale che porterà Delphine a fare i conti col proprio inconscio, in un continuo rimando tra allucinazione e realtà.
Dopo quattro anni dall’uscita di Venere in pelliccia (La Vénus à la fourrure, 2013), Polanski torna al cinema con un prodotto rigoroso, pulito, cristallino nella messa in scena, alla pari degli spazi estremamente avvolgenti e geometrici (curati con maniacale precisione da Jean Rabasse) che vanno da meravigliosi appartamenti parigini a rustici casali persi nelle campagne francesi. Al loro interno si muovono le due protagoniste, Emmanuelle Seigner (quinta volta diretta dal marito) ed Eva Green, tanto distanti quanto affini, in un incessante gioco di specchiamenti e incognite. La prima, nella sua (finta) ingenuità trasandata e burrosa, risulta sensualissima anche quando completamente madida di sudore, brodo o altri intingoli; la seconda, invece, risveglia curiosità iconografiche rispetto ai mutamenti estetici che subisce lungo la narrazione: i toni da dark lady anni Quaranta (il nero e bianco dell’abbigliamento in primis con accenni di scarlatto sulle unghie e sulle labbra, la sigaretta perennemente accesa) si smorzano pian piano quando prende sempre più possesso della vita dell’altra. E, a questo punto, le tinte si fanno telluriche, ambrate, calde, suadenti (i capelli passano dal corvino al castano, gli abiti diventano meno sofisticati, il trucco meno pesante).
Un atto rievocatore, questo di Polanski, che può ricordare Bridget Fonda e Jennifer Jason Leigh in Inserzione pericolosa (1992) di Barbet Schroeder. Ma, in realtà, sono tanti i rimandi cinefili presenti nel film, da Misery non deve morire (1990) a La nona porta (1999), da Luna di fiele (1992) fino a un gustoso omaggio di Rosemary’s Baby (1968) in cui la vicina di casa di Emmanuelle Seigner celebra, simpaticamente, la mitica Ruth Gordon (la luciferina dirimpettaia di Mia Farrow).
L’omaggio e la citazione sono alla base di Quello che non so di lei, come se Polanski volesse giocare con lo spettatore. E, al contempo, prendersene gioco. Ma sempre con la bonaria leggerezza di un autore che sa miscelare sapientemente, e quando occorre, ironia e suspense.