Atlas Revisited. Foto di scena ©Dave Delarosa

Qualcosa di nuovo sul fronte orientale

A Polverigi le prime nazionali di InTeatro Festival 2017

Di uno spettacolo non conta solo la riuscita, ma anche la sua capacità di generare domande.

L’aspettativa condivisa

Immaginate di entrare in una piccola chiesa, di prendere posto a sedere – lungo il perimetro però non sulle panche –, immaginate ora che entri una danzatrice, lì, al centro della navata, vuota per l’occasione, e immaginate che prima di cominciare vi dica, anzi, che cominci dicendovi ciò che farà: quadro dopo quadro. Solo il titolo di ciascuno, non una descrizione prolissa. Ecco. Immaginate infine che, per dirla clinicamente, «proceda». Stiamo parlando di Bailarina (2014) della catalana Sonia Gómez, presentato in prima nazionale alla 39^ edizione del festival InTeatro all’interno della Chiesa del Santissimo Sacramento di Polverigi.

Cosa aspettarsi? Certo, la destrutturazione non è cosa nuova di questi tempi, ma tutto si gioca attorno a questo espediente iniziale. Con una tale premessa, difatti, Gómez sospende le (possibili) aspettative di ciascuno spettatore – diverse –, creando una base comune, un’aspettativa chiara e condivisa, a partire dalla quale ognuno potrà reagire. Non a caso nelle note di regie, la danzatrice parla di ricerca di contatto ravvicinato col pubblico:

Mi sto domandando come posso danzare in uno spazio inatteso, senza un pavimento speciale, luci, evitando la confezione teatrale.

Il gioco è intrigante, ma non riesce ad andare oltre il suo formato, reiterando la successione degli otto segmenti (dal «marciare come un pinguino» al «ballo apocalittico felice»), con piccole varianti che a ogni nuovo ciclo eludono la prevedibilità della precedente realizzazione, senza tuttavia aggiungere o togliere molto. Un processo di ricerca esposto. Godibile, divertente, ma limitato.

La danza dei cammelli

Curiosa aspettativa la suscita a suo modo Atlas Revisited (2016) dei newyorkesi Karthik Pandian e Andros Zins-Browne (anche questo, come tutti gli spettacoli qui trattati, è una prima nazionale). Aspettativa non tanto per il pretestuoso riferimento alla videoperformance dell’81 di Cunningham e Atlas Channels/Inserts, che se conoscono i cultori della danza già è tanto, quanto per il fatto che lo spettacolo inizi con una lunga spiazzante videoproiezione di «cammelli» (che poi sarebbero dromedari) “passeggianti” fra le rovine egizie di quello che scopriremo essere uno dei tanti set in Marocco della Atlas Corporation Studios (Troy, Il Gladiatore, Il tè nel deserto, Lawrence d’Arabia, ecc.).

Sembrerebbe un colpo di genio à la Monty Pyton, senonché veniamo a sapere che il video è stato realizzato con la seria idea di ri-prendere la «danza del cammello» (tipica bestia da soma desertica) come atto di ribellione, come «simbolo di libertà e di autodeterminazione oltre i condizionamenti sociali o politici» in riferimento alla Primavera Araba. Già. Peccato però che dopo aver realizzato il video sia scattato il senso di colpa per la costrizione inflitta ai poveri animali; così, i due hanno preso dei «cammelli» in America e li hanno ripresi in uno studio con la tecnologia del green screen per alterare in post-produzione l’ambientazione.

Karthik Pandian & Andros Zins-Browne / The Great Indoors (New York/Bruxelles) Atlas Revisited prima italiana Cosa succederebbe se un cammello si ribellasse, smettesse di trasportare pesi e cominciasse a fare qualcosa di diverso con il proprio corpo, per esempio una danza? Karthik Pandian & Andros Zins Browne Atlas Revisited. Foto di scena ©Giulia Di Vitantonio

Karthik Pandian & Andros Zins-Browne Atlas Revisited. Foto di scena ©Giulia Di Vitantonio

O almeno. Questo è ciò che ci raccontano, o meglio, si dicono fra di loro in salsa post-drammatica. E poco a poco la speranza che tutto lo spettacolo sia una grande burla, inventata ad hoc, si assottiglia grottescamente. Basti dire che Atlas Revisited si concluderà con uno spot stile anni ’80 che reclamizza un «Leave Me Alone» del quadrupede, poi con la coppia che, in costume di peluche, sfonda lo schermo vestita da dromedario, e infine con una pistola a pressione stile Super Ball americano che spara magliette al pubblico. In platea cresce lo sconcerto e alla fine rimane una sola domanda: ma perché?

Poi uno dice come hanno fatto a eleggere Trump…

Spiare il terrorismo

Rimanendo in ambito mediorientale, approda a Polverigi Nessuna conversazione degna di rilievo, ultima creazione del regista catalano Roger Bernat noto per la sua ricerca sul teatro partecipato (produzione Marche Teatro e Eléctrica produccions). In questo caso l’indagine muove dal reclutamento dei nuovi combattenti del sedicente Stato Islamico. Bernat, avuto accesso alle intercettazioni di alcuni guerriglieri partiti da Ceuta (al confine con il Marocco) per la Siria, allestisce una fruizione semi-libera da posto di tale materiale.

In scena tre attrici, ognuna su una piattaforma di pochi metri quadri, collegata a un microfono. La prima recita le intercettazioni, la seconda le legge, la terza le ascolta e le ripete («eterodiretta», per dirla à la Fanny & Alexander – che recentemente hanno dedicato uno spettacolo al regista).

Roger Bernat Nessuna conversazione degna di rilievo. Foto di scena ©Giulia Di Vitantonio

Roger Bernat Nessuna conversazione degna di rilievo. Foto di scena ©Giulia Di Vitantonio

Ogni spettatore, munito di cuffie multicanale, potrà scegliere in totale autonomia a quale delle tre voci sintonizzarsi durante l’intera durata della performance. Successivamente, il regista innesterà una scomposizione del celebre film di Pontecorvo La battaglia di Algeri (1966), suggerendo tacitamente – e forzatamente, a nostro avviso – una connessione fra la discussa legittimità degli attentati algerini e la condanna totale di quelli odierni dell’ISIS in Europa.
Cosa seguire, dunque? Come ordinare i frammenti? Come ascoltare questi squarci improvvisi di quotidianità domestica? Cosa cogliere nelle voci di queste donne?

Roger Bernat - Nessuna conversazione degna di rilievo Nel 2012, alcuni abitanti di Ceuta (città autonoma spagnola situata nel Nord del Marocco) abbandonarono le loro famiglie per andare in Siria. Nelle settimane che trascorsero tra la Turchia e Damasco chiamarono regolarmente i loro familiari. La polizia spagnola intercettò le loro conversazioni e questo materiale entrò a far parte del dossier presentato al processo che ebbe luogo successivamente a Madrid. Come conseguenza vennero condannate undici persone per appartenenza ad una rete di reclutamento dello Stato Islamico. Fu il primo processo svoltosi in Spagna contro fondamentalisti del Daesh. Il regista è entrato in possesso di questo immenso materiale di circa 12.000 pagine fatto di trascrizioni delle intercettazioni, pagine web, profili facebook visitati dalle persone incriminate, ma anche dei verdetti dei giudici e delle accuse degli avvocati. “All’inizio” racconta Bernat, “venni spinto da una grande curiosità. Poi cercai di capire quale fosse la motivazione di queste persone cresciute in Spagna. L’interesse è stato quello di cercare di entrare nei discorsi di questi giovani e dei loro familiari, specialmente delle loro mogli rimaste a confrontarsi con la realtà quotidiana di un quartiere popolare di Ceuta, usando le loro parole per avere una testimonianza diretta non veicolata dai media e dalle interpretazioni che vengono date al fenomeno. In questo caso è stato possibile avere accesso alle fonti senza alcuna mediazione”. Lo spettacolo costruisce un dispositivo scenico visivo e sonoro che permette allo spettatore di districarsi nella molteplicità di voci e di fonti che si sovrappongono. Nell’impossibilità di accedere a tutti i materiali il pubblico è chiamato a prendere parte, a costruire una propria opinione scegliendo quale punto di vista seguire. Il lavoro del regista catalano Roger Bernat si inserisce all’interno del panorama del teatro partecipato contemporaneo, proponend

Roger Bernat Nessuna conversazione degna di rilievo. Foto di scena Giulia Di Vitantonio

Inizialmente intrigante, il dispositivo – non propriamente impeccabile (non sempre vi è quella contemporaneità dei tre canali per cui lo spettatore si ritrovi costretto a dover prendere una scelta e quindi a precipitare in quello che sarebbe potuto diventare il cortocircuito del proprio discutibile voyeurismo) – costringe senza innescare, perdendo via via di appeal, fino a diventare macchinoso, tanto da incrinarne la sua stessa necessità. Come nota Chernetich su TeC: «Bernat sembra […] soffermarsi su un modo di esistere sensazionalista dell’informazione, che non traccia un vero e proprio segno sulla scena al di fuori della prevista originale modalità di fruizione.»

L’identità tra folklore e cartoons

Per concludere, merita sicuramente una menzione la breve performance degli “svizzeri d’adozione” József Trefeli e Gábor VargaCreature, che mescola elementi folklorici tradizionali provenienti da tutto il mondo e in cui il corpo danzante si fa emanazione tellurica: schiocchi di frusta, colpi di bastone, calpestii ritmati, cappe e copricapi frangiate. L’uomo in quanto individuo è oscurato. Ne rimane un corpo senza volto. I due si ammantano di scarti, li dispongono nella palestra dell’Istituto Comprensivo “Matteo Ricci” (habitat ideale) in cinque punti equidistanti, a formare una stella, come una danza rituale, tribale, nell’evocazione di una «creatura» totemica innanzi alla quale siamo chiamati a confrontarci. Quale istinti primigeni abbiamo sedato? Quale mostro ci appare davanti? Quale si ri-desta in noi?

Complementare – e non a caso inserito a seguire nella programmazione di venerdì 30 giugno – Scarabeo_Angles and the void del cuneese Andrea Costanzo Martini. Un duetto in cui il corpo è còlto nella sua sclerotizzazione contemporanea: brontola, cigola, saltella, scatta a molla, collassa a terra, si schiaccia sul fondo, per poi riavvolgersi e ricominciare daccapo, procedendo per saturazione e, per l’appunto, perdita di identità, fino a che un grido di assediata umanità reclama – invano – la libertà. C’è un gusto spassoso tra Tempi moderni di Chaplin e i cartoni animati della Warner Bros. Chi siamo oggi in questo mondo di consumi e virtualità? Che cosa siamo diventati? Cosa possiamo ancora agire?

Al di là della riuscita del singolo spettacolo, a giudicare da questi due giornate di prime nazionali è innegabile che il Festival InTeatro persegua pervicacemente una ricerca dei linguaggi performativi tesa al dialogo con la contemporaneità, tanto nei temi quanto nelle forme. La Direttrice Artistica Velia Papa, dunque, presenta forme ibride, irrisolte nonché insolite, sdoganandosi così, da un lato, da una programmazione stagionale non esattamente ricercata (parliamo del TRIC Marche Teatro), dall’altro andando a costituire un’alternativa vivace e indipendente al “versante occidentale” dei festival estivi italiani.

Ascolto consigliato

Polverigi (AN) – 29 e 30 giugno 2017

In apertura: Karthik Pandian & Andros Zins Browne Atlas Revisited. Foto di scena ©Dave Delarosa

Grazie


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