Grande attesa per il primo film in concorso in questa 63esima Berlinale, il Promised Land diretto da Gus Van Sant e cosceneggiato da Matt Damon. Steve Butler (Damon), agente di una grossa azienda, si reca insieme alla sua collega Sue (Frances McDormand) in una piccola città di provincia che ha subito i contraccolpi della crisi economica degli ultimi anni. Erano convintissimi che le proposte economiche dell’azienda potessero aggirare la piccola resistenza locale. Ma l’opposizione di un vecchio insegnante locale (Hal Holbrook) complica i piani all’azienda..
Van Sant, subentrato alla regia dopo l’abbandono dello stesso Damon (di cui è la sceneggiatura con il co-protagonista John Krasinski) riesce a mantenersi indipendente in una Hollywood che almeno all’apparenza incomincia a prendersi a cuore alcune questioni etiche quanto ambientali. L’occhio di Van Sant allo stesso modo emerge pian piano, nel disegnare i paesaggi della cara vecchia provincia americana chiusa e diffidente. Ma questa volta probabilmente a ragione, visto che il progresso è rappresentato da quella stessa azienda che cerca di arricchirsi.
Così tra Springsteen e Steinbeck la vera protagonista di questo film è l’esperienza rurale di questo pezzo d’America, sempre più violata e violentata che rende i propri abitanti quasi anestetizzati e rassegnati anche nell’impossibilità di vedere un futuro. Chissà cosa diventerebbe questo piccolo pezzo di mondo diffidente se anche gli interessi di pochi favorirebbero questa facile disperazione. Il film scorre, è piacevolissimo nonostante il distacco e la poca empatia che si riesce a provare con il popolo. Pare quasi diventare didascalico, nel definire i rapporti spesso drammatici di un America che noi non conosciamo e che proprio la coppia Damon-Van Sant ha voluto far emergere.