L’Italia rende onore al gigante dell’animazione giapponese Hayao Miyazaki proprio in occasione della festa del cinema con la distribuzione nelle sale di una pietra miliare dell’anime d’autore qual è sicuramente Principessa Mononoke. Un’occasione imperdibile per i fan del cinema made in Japan: grazie a Lucky Red Studio Ghibli arriva quest’anno nelle sale italiane non solo in occasione di festival del cinema quale quello di Venezia o di Roma.
In programmazione dal 8 al 15 maggio, in una versione restaurata rispetto a quella del 1997, Principessa Mononoke è stato non solo tirato a lucido dal punto di vista grafico, ma anche nel doppiaggio con un inedito Pino Insegno nel ruolo di Bonzo. Come in ogni film di Miyazaki uomo e natura sono i veri protagonisti in un’ambientazione surreale e sognatrice, con al centro, come sempre nelle sue trame, figura femminile messa su un piedistallo, e, andando un po’ controcorrente rispetto agli altri anime, senza la presenza di un vero antagonista.
Principessa Mononoke è una fiaba ecologica e mitologica insieme ambientata nel Giappone del XV secolo. Sono questi gli anni in cui il Giappone abbandona il mondo medievale per abbracciare la modernità e il periodo industriale che ne consegue. Uomo e natura adesso non vivono più in armonia come in antichità. Il film rappresenta l’opera cinematografica esemplare del maestro Miyazaki per i grandi spunti letterari che sa esprimere e per le tematiche capaci di renderlo un prodotto fortemente artistico. La spinta alla meditazione sulla natura che ci offre il sensei Miyazaki rende questo film d’animazione un appuntamento imperdibile non solo per i più giovani ma anche per gli adulti, essendo la convivenza e il rispetto delle diversità le morali offerte da questo film.
Diversamente da altri suoi titoli in questo caso Miyazaki ci mette da subito davanti l’odio che può provare l’uomo quando è deciso ad arrivare ostinatamente al progresso, pur di sacrificare il bene più prezioso: la natura. Principessa Mononoke è forse quindi, inevitabilmente, il film più violento del regista giapponese, che si prende la responsabilità di mostrare fin dove può arrivare l’uomo pur di raggiungere i propri scopi. Nel finale tuttavia il regista apre a un segno di speranza: Ashitaka riesce a vedere il mondo in un modo diverso grazie alla giovane principessa Mononoke (cioè “spettro”) capace di rendere il suo animo più riflessivo e altruista. Un film che certamente si colloca coerentemente nella poetica estremamente sognatrice del sensei e non lo allontana dal suo status di regista visionario tout court.