Premio Buscaglione – II° edizione – Sotto il cielo di Fred
Se Roma gode di un clima eccessivamente rilassato, Milano è frenetica e Napoli è la città della monnezza, allora Torino è grigia. Un aggettivo che è sempre stato stretto ai suoi abitanti, soprattutto a tutti gli operai della Fiat che si rendevano simbolo di questo sentimento color piombo. Vuoi le Olimpiadi, vuoi che finalmente sia scattato qualcosa nella testa dei freddi e cortesi residenti sotto la Mole, ma dal 2006 qualcosa è decisamente cambiato, e non solo nel progetto urbanistico della città.
Un campanilismo che per anni era stato coperto dalle polveri sottili è stato riportato alla luce, e con esso anche tantissima voglia di fare ed organizzare manifestazioni che pubblicizzassero le bellezze nostrane. Molti italiani si erano quasi dimenticati che Torino fosse così bella, lo dice ogni turista intervistato al Tg.
È stata tirata a lucido, impreziosita, ma l’eleganza, a dirla tutta, non le è mai mancata. Lungo quelle camminate invernali sotto i portici, alla ricerca di un timido tepore, o nella metropolitana, è capitato di imbattermi in alcuni cartelloni con il bel faccione del Buscaglione che recitavano appunto “Sotto il cielo di Fred”.
Come non ricordare che il buon Ferdinando, prima di avere il successo che ebbe, prima del tragico incidente d’auto ai Parioli, nacque e crebbe sulle sponde del Po, in quella casa di via Bava, dove le ispirazioni e le note fermentavano libere. Nel cuore ancora le bombe, ma la guerra, per chi sentiva di aver aperto un nuovo capitolo, non era che un ricordo. Le piole, le bocciofile e le osterie tornavano ad affollarsi di tenui sorrisi, sinceri e speranzosi.
La musica, il più potente lenitivo, fu l’arma del successo di Fred e compagnia bella. E a cinquant’anni dalla sua scomparsa, qualcuno ha pensato di rendergli il meritato onore, per il fatto di aver accompagnato fuori dalla devastazione una generazione intera, con quella spensieratezza e sollazzo che caratterizza ogni sua canzone. Così due anni fa si è svolta a Torino la prima edizione di questo premio che intende promuovere il sottosuolo cantautoriale del Belpaese, per mescolare tradizione e modernità. Il tentativo sembrerebbe proprio quello di non far perdere il contatto con le radici che hanno reso grande la musica italiana, non solo all’interno dei confini nazionali, ma in tutto il mondo.
Per una settimana, dall’11 al 19 febbraio scorso, insieme allo scioglimento delle nevi, a portare vampate di calore ci ha pensato L’Associazione F.E.A, ente promotore della rassegna, che quest’anno ha unito l’utile al dilettevole.
Buona musica come ricco condimento della “Notte Rossa Barbera”: non c’è niente di meglio che sposare la tradizione culinaria piemontese ai nuovi talenti della scena musicale italiana, insomma. Un successo gustosissimo, che si è presentato semplicemente come l’antipasto delle tre giornate del 16, 17 e 18 in cui si sono svolte semifinali e finale del Premio Buscaglione.
Le semifinali sono state ospitate dal Teatro Vittoria, cornice di tutto rispetto, a due passi dalla centralissima via Roma, in cui si sono esibiti i dieci gruppi rimasti in gara a colpi di note.
Quattro i giurati a cui è andato l’onore e l’onere di ascoltare i più di quattrocento partecipanti e che dopo scremature infinite, hanno decretato anche i vincitori della II° fase delle semifinali. Ma solo la giuria popolare ha portato in auge i finalisti per la grande serata che ha avuto luogo alle Officine Corsare. Una piccola Sanremo, insomma, il periodo è stato anche il medesimo, la musica nettamente migliore e di gran classe, però.
In finale sono arrivati i Verlaine, Les SansPapier, Andrea Cola e Lo Stato Sociale, in più si sono esibiti i Venus in Furs, che pur non avendo passato il turno, hanno riscosso molto successo da parte del pubblico.
Ospiti d’eccezione delle tre serate sono stati rispettivamente Maria Antonietta, all’anagrafe Letizia Cesarini, un peperino alto un metro e sessanta, che composta e disinvolta, imbraccia la sua chitarra come se non vedesse nessuno al di là del palco. Un mix tra Carmen Consoli e Courtney Love, che non le manda a dire. Conquista il pubblico per la sua dolcezza, velata dall’asprezza dei testi. Incanta e seduce con un’innocenza ruvida ed incandescente.
Di altra natura è stata, invece, l’esibizione del venerdì, in cui sono stati presentati i Sick Tamburo, che per gli amanti della musica alternativa degli anni ’90, non sono altro che i Prozac +, sotto nuove vesti. Quattro individui con il passamontagna, compresa la voce femminile Boom Girl, cravatta rossa al collo e gilet color antracite. Scaldano il teatro, c’è chi improvvisa un solitario, quanto mai simpatico pogo. Finissimi e dal sapore metallico.
Ma la vera festa si è realizzata sabato, quando entrando nel Cubo delle Officine Corsare, più che la tensione per la proclamazione del vincitore, si respirava l’aria di una triviale serata fra vecchi amici.
I primi ad intrattenere il pubblico sono i torinesi Verlaine, che con il loro indie-rock raffinato, ammorbidiscono gli animi. Scherzano sul titolo della loro nuova canzone “Respirare”, che per casualità degli eventi è lo stesso della hit sanremese di grande carica trash, intonata da Gigi D’Alessio e Loredana Bertè. Non preoccupatevi Verlaine, voi non avete il remix di Fargetta, vi salvate! Ma “Ti ho già detto il mio nome” è la vera perla: l’ alcool scorre lungo le pareti degli amplificatori, sul bancone del bar si scontrano e fanno finta di non vedersi centinaia di persone, parlano e non si sentono e così, con leggerezza magnifica, concludono il live.
A loro succedono i SansPapier, una formazione multiprovinciale, che rincorre i sapori di Francia e del Mediterraneo. Vengono dalla Provincia Granda, ma raccontano di San Salvario, il quartiere multietnico e della nuova movida torinese, che è commistione delle culture che non temono lo scontro. Hanno occhi per sognare, non solo per suonare, questi “clandestini” italici. Il sassofono infiamma i silenzi e il flauto traverso trascina le membra del pubblico, galvanizzandolo. Andrea Gerbaudo, chitarra e voce del gruppo, con una camicia alla Tony Manero, è brioso, con un sorriso quasi rassicurante. Ci si potrebbe aspettare che si sieda da un momento all’altro per terra nell’intento di raccontare una storia fantastica.
D’altro aspetto è il cantautore di Cesena, Andrea Cola. Più sulle sue, schivo, quasi burbero all’apparenza, ma appena comincia a cantare i cuori si sciolgono, soprattutto durante la versione interamente vocale, senza alcun tipo di accompagnamento di “Love in Portofino”, cover del grande Fred. Brividi lungo la schiena, in una struggente rivisitazione moderna che non perde d’intensità, anzi, ne esalta i tessuti emotivi. Eclettico e dai raptus improvvisi, rischia di fracassare la sua preziosa chitarra sul finale di “Anna, senti che tamburi”, dopo, però, aver gorgheggiato distillando parole sublimi.
Il presentatore, Mungo, un personaggio che sembra uscito da un film di gangsters, è accigliato e stupito. Ha mantenuto come in ognuna di queste tre giornate una certa sobrietà e ormai arrivati alla fine si è preparato a chiamare sul palco gli ultimi finalisti in lizza: Lo Stato Sociale. Sono una band di ventenni o poco più che vengono da Bologna. Suoni sintetizzati, pianole di sottofondo, la voce di Lodo Guenzi che rappa e che parla con gli altri componenti del gruppo come se niente fosse. Fa tutto parte dello spettacolo, siamo atterrati nella dimensione parallela di un gruppo di ragazzi paralleli. Si divertono, ci divertono, hanno raccontato tutto quello che avremmo voluto raccontare noi, ma con una trasparenza d’idee che fa quasi commuovere, tanto è vera, senza artifici. Un piccolo bazar di musica e di risate. Così, semplici e decisi, si sono presentati Lo Stato Sociale. Ma che Sanremo, ma che Pier Paolo Capovilla, ma che episcopato, fateli parlare, fateli stonare, non importa. Non si fermano, passano da “Ladro di cuori col bruco” ad un’ennesima dedica a Fred con “Voglio scoprir l’America”, divertente e scanzonata, un po’ ubriaca. E come non incantarsi con “L’amore ai tempi dell’Ikea”, per poi esplodere in “Abbiamo vinto la guerra”.
Nessuno ha, però, ancora vinto, e l’attesa è inutile, la musica ha intrappolato tutti nella scatola magica delle Officine. Salgono sul palco i grandi esclusi, il quartetto pisano dei Venus in Furs. Loro non hanno più nulla da perdere, ci vogliono soltanto travolgere con il loro rock graffiante, con la loro “Cecilia e la famiglia” che fa scuotere la testa e urlare a perdifiato. Archi voluttuosi quelli di Giampiero Silvi, si mescolano ai tecnicismi del basso di Marco Doni, che scuote lo strumento inginocchiandosi a terra, mentre il batterista, Giacomo Dini, illuminato da una luce rossa alla Disco Inferno, non temporeggia, fino a che un microfono cade e il chitarrista e cantante, Claudio Terreni si getta nella platea.
E di nuovo, credevate fosse finita qui, e che vi dicessi il nome del vincitore, ed invece no, abbiate pazienza! Invocatissimi gli headliner dell’ultima sera sono gli Ex-Otago. Un gruppo genovese che, arrivato al suo secondo album, dopo il tour pieno di fortuna del 2011, ha decisamente conseguito una svolta, con un seguito di pubblico sempre maggiore. Si avvicinano alla platea torinese accostando le tematiche di “Costarica” con la questione della Val di Susa, con la semplicità che può avere un applauso infra cantu, la voglia di far ballare con “Figli degli Hamburger” , “The rhythm of the night” e “Marco corre” , o di acquietare i ronzii nella mente con “Bar Centrale”. Nel frattempo il Pernazza alle tastiere ci stupisce per l’energia che riesce a sprigionare tra salti e convulsioni, ma soprattutto per la disinvoltura nell’indossare camicie di dubbio gusto. Il buon Maurizio, come una matrioska, ad ogni canzone si leva un gilet. Non ho tenuto il conto, ma credo fossero almeno quattro. Continuerei a parlare per ore dei cambi d’abito degli Ex-Otago, ma penso di essere stata abbastanza sadica nei vostri confronti e che siate curiosi di sapere il verdetto finale.
Rullo di tamburi, reverenziale inchino verso il presentatore, che con la sua onnipresente cartellina fa finta di leggere qualcosa che in realtà sa già, and the winner is… LO STATO SOCIALE. Si aggiudicano la seconda edizione del Premio Buscaglione i giovanissimi bolognesi, mentre ad Andrea Cola va il premio de La Tempesta Records che gli permetterà di registrare un singolo con la suddetta casa discografica.
Ringraziamenti speciali per il successo di questa fantastica settimana vanno a tutti i giurati: Ramon Moro, Gigi Giancursi, Josh Strafelici, Patrizio Anisio, Marco Ciari, Enrico Molteni, Fabrizio Gargarone, Massimo Leg, Fabrizio Vespa, Luca Castelli, Ufo degli Zen Circus, e a Francesca Lonardelli, una factotum irrefrenabile che si è occupata di ogni cosa, dalle public relations ai contatti, intrattenendo gli ospiti ed artisti in gara.
E così tra bottiglie di barbera, in una notte da “Avanzi di Balera”, si conclude una delle rassegne che a tutt’ora rende meglio il panorama della musica italiana, con un target di ascoltatori che non sono per forza di nicchia, o una minoranza silenziosa. Sono tutti coloro che piuttosto che stare in casa ad imbambolarsi di fronte al televisore, preferiscono fare due passi giù nel quartiere e guardare, sentire con le proprie antenne qualcosa di vero e nuovo.