Il valzer dei fragili
A Teatri di Vetro la poesia minuta di Piccola Compagnia Dammacco
Attenti al virtuosismo: perché a sorprendersi solo per il boato, si perde la preziosa meraviglia del minuto (leggi “piccolo”).
Grazie alla caparbietà di Roberta Nicolai, che con questa X edizione celebra il il canto del cigno di quel festival diffuso che è Teatri di Vetro, Roma ha recentemente accolto due piccoli deliziosi spettacoli della Piccola Compagnia Dammacco. Piccola, per l’appunto. E già sembra quasi una dichiarazione di intenti.
Il piccolo infatti è categoria fraintesa, cui si guarda con tenerezza, con passeggera tenerezza, con supponente passeggera tenerezza. Certo, si sa, l’uomo tende alla hybris, ma in questo nostro tempo scandito dal ritmo ossessivo del mercato (complice la distopia tecnologica del virtuale), il delirio di onnipotenza si sta facendo prassi; e – insomma – ammalati di mania di grandezza come siamo il piccolo se la passa maluccio.
Ma, concretamente, che vuol dire?
Che uno spettacolo non deve essere sorprendente per essere un “bello” spettacolo, che non c’è bisogno di strafare, di ostentare presunta modernità: un pizzico di musica elettronica qua, un po’ di simbolismo pop là, qualche bel tema sociale di attualità, una stoccata metateatrale, la battuta al pubblico; perché poi la vita quotidiana è sempre lì, identica a due cinque diecimila anni fa, che se la ride sorniona e ci mette in scacco non appena ci convinciamo di essere la vetta della storia dell’umanità.
Per fortuna però che di tanto in tanto qualcuno si ricorda che siamo risibili e ridicoli, contraddittori e maldestri, eterni bambini che hanno imparato a chiedere “perché perché perché” ma che di quel perché, se mai vi fosse una risposta, proprio non sanno che farsene. Insomma, qualcuno si ricorda e ci ricorda che siamo piccoli. E che non c’è nulla di male ad esserlo. Anzi.
Così è a Teatri di Vetro, festival fragile, fragilissimo, ma non per questo meno importante; e così sono stati gli spettacoli della Piccola Compagnia Dammacco. Due spettacoli non sbalorditivi forse, magari con qualche slabbratura drammaturgica, ridondanze musicali qua e là, scelte registiche coerenti però forse non sempre incisive, ciononostante talmente delicati e sinceri che non si può che plaudirne la grazia.
Pur nelle loro diversità, L’inferno e la fanciulla e Esilio condividono una medesima poetica: il dramma goffo dei fragili. Esseri struggenti e buffi sono questi protagonisti.
La prima una bambina alle soglie della crescita (o una donna eterna bambina) che scopre la truffa della vita sociale: quel compromesso, quella convenzione, quella quieta convivenza che puzza di conformismo: eccolo “l’inferno”, è la piega del reale che lascia intravedere la grande pupazzata omertosa.
Il secondo invece è un disoccupato che cade nella spirale depressiva dell’eterna infruttuosa ricerca di un lavoro. Ma anche qui siamo nella metafora esistenziale, e il nostro disoccupato è un altro disengaged, un pupo che ha scoperto lo strappo nel cielo di carta e non può interagire più nella finzione conformata se non conformandosi consapevolmente – eccolo il dramma – a essa.
Come risulta evidente, alludiamo a Pirandello. Perché il topos è proprio lo scarto fra la scoperta dell’illusione e l’impasse esistenziale di questa scoperta. Vale a dire: capito che tutto è relativo, che una e sola e incontrovertibile verità non esiste, cosa si fa? Come nella migliore letteratura a cavallo tra Ottocento e Novecento troviamo qui individui colpevoli di un peccato inassolvibile: essere umani. Sono i poveri diavoli di Dostoevskij, gli eterni impreparati di Kafka, gli animi candidi di Walser, gli inetti di Buzzati, sono i normali che si sentono diversi, che forse lo sono veramente, diversi, ma non per ciò che pensano di sapere bensì per il fatto di chiederselo e non sapere.
Sono noi. Tutti. Singolarmente. Inconfessati.
Adorabili, tenerissimi, penetranti, però anche formalmente distanti. Serena Balivo è impeccabile, la delicatezza che infonde a queste creature è a dir poco toccante (nonché esilarante), eppure c’è un candore romantico à la Chaplin che rischia di intrappolare gli spettacoli sotto una patina – una splendida patina, sia chiaro – di obsolescenza.
Mariano Dammacco non li risolve mai. Non tanto nel senso di trovare una risposta quanto di migliorare la domanda (si pensi alla lezione di Beckett «Fail again. Fail better.»); per questo a nostro avviso risultano lievemente datati: manca loro la disillusione brutale della democrazia – consumista – che, anziché pensare al bene collettivo, ha finito per enfatizzare soltanto quella folle, alienante, vanitosa idea del diritto alla felicità.
Essere piccoli, tutelare l’impercettibile, accarezzare le sfumature è virtù dei grandi, tuttavia è importante che questa fragilità non ceda mai all’autoassoluzione. La PCD, soprattutto in La fanciulla e l’inferno, coglie sicuramente questa contraddizione ma è come se non riuscisse a sublimarla, come se questa verità non fosse altro che un’amara constatazione, come se la realtà dovesse comunque rimanere un nemico.
E questa in fondo è la sfida del nostro tempo, di ogni tempo: vivere il presente, costruendolo, oppure arrenderci a patirlo.
• In morte di Ubu: quel grido sepolto dal dolore della farsa. Jarry secondo Latini, di Giulio Sonno
• De Summa reinventa l’epica: ‘La sorella di Gesùcristo’ spara dritto nel presente, di Giulio Sonno
• Alla riscoperta della normalità: la sana voglia di ‘Amore’ di Scimone Sframeli, di Giulio Sonno
• Due passi sono – Carullo, Minasi, di Giulio Sonno
• Requiem for Pinocchio. La scoperta dell’Esistenza – Simone Perinelli, di Giulio Sonno
Per saperne di più del festival:
• VIII Teatri di Vetro
• IX Teatri di Vetro
Foto:
(in copertina) Rebecca Dautemer Alice au pays des merveilles, 2010 ©éditions Gautier-Languereau
(foto di scena) ©Pino Montisci
Crediti:
L’INFERNO E LA FANCIULLA
con Serena Balivo
ideazione e drammaturgia Mariano Dammacco, Serena Balivo
regia e disegno luci Mariano Dammacco
produzione Piccola Compagnia Dammacco
con il sostegno di Campsirago Residenza
primo studio vincitore del Premio Nazionale Giovani Realtà del Teatro
spettacolo Selezione In-Box Blu 2016
ESILIO
con Serena Balivo, Mariano Dammacco
ideazione, drammaturgia e regia Mariano Dammacco
con la collaborazione di Serena Balivo
disegno luci Marco Oliani
immagine di locandina Stella Monesi
produzione Piccola Compagnia Dammacco
con il sostegno di Campsirago Residenza
con la collaborazione di L’arboreto Teatro Dimora
e di Associazione C.R.E.A. / Teatro Temple, Associazione L’attoscuro