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Perfect Day – Fernando León de Aranoa

Non ci sarebbe bisogno di scomodare ancora una volta Bertolt Brecht per ribadire che avere degli eroi su cui cucire le sorti della storia non sempre è auspicabile. Non lo è nelle questioni sociali, ma spesso nemmeno nei più profani meccanismi narrativi contemporanei. Sicuramente di eroi, almeno in senso più tradizionale, non ha bisogno il regista spagnolo Fernando León de Aranoa nel costruire il riuscito Perfect Day, suo primo lungometraggio in lingua inglese – tratto da Dejarse llover, romanzo di Paula Farias – in una già cospicua carriera divisa fra cinema e documentario.

Mambrù (Benicio del Toro), B (Tim Robbins), Sophie (Mélanie Thierry) e Katya (Olga Kurylenko) sono infatti quatto semplici operatori umanitari – con i loro difetti, preoccupazioni e bisogni – ritrovatisi a lavorare insieme fra le montagne della Bosnia alla metà degli anni Novanta. A unirli, il tentativo comune di liberare un pozzo dal cadavere di un uomo gettato lì per inquinarne le acque e impedire quindi il sostentamento degli inermi civili che abitano la zona. Piuttosto quattro antieroi, dunque, costretti loro malgrado a inseguire e difendere una causa più grande di loro. Tutt’intorno i carri armati, i Caschi Blu, la crudele presenza delle mine, ci ricordano che siamo in uno scenario di guerra, con le sue logiche contorte, le follie quotidiane, le corse contro il tempo, mentre a rimetterci sono ovviamente le masse di civili coinvolte nella tragedia.

Ma il punto di forza di Perfect Day è quello di riuscire a prendere parte, schierarsi apertamente, senza per questo ricorrere al facile dualismo retorico puri-impuri, amici-nemici. E per farlo, Aranoa mette in gioco massicce dosi di ironia, poste quasi chirurgicamente lì dove sembra che il discorso stia per assumere i toni più cupi. In questo meccanismo si muovono a loro agio Benicio del Toro e Tim Robbins, impeccabili nel tenere testa anche nei pochi momenti in cui il plot pare perdere giri e impantanarsi.

Aranoa costruisce quindi un immaginario credibile, verosimile nei meccanismi ma anche, allo stesso tempo, paradossale nel riportare con forza a terra i discorsi più aulici: mancando volutamente di retorica, il film sceglie allora di tralasciare le ragioni profonde, le analisi e gli episodi concreti che puntellano questa guerra. Ne fuoriesce, come afferma lo stesso regista, una sorta di matrioska: “c’è un dramma dentro la commedia, dentro un road movie, dentro un film di guerra”. Il tutto si tiene insieme senza far pesare i diversi cambi di registro, ma anzi traendo forza dalla continua dinamica alto-basso, comico-tragico che ne sorge, e questo, fidatevi, non è poco.

Grazie


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