Per non dimenticare
Il nostro calendario è un profluvio di anniversari tragici, una miriade di giornate dedicate alla memoria di eventi nefasti. “Per non dimenticare”, si dice. Per non dimenticare che cosa? Per non dimenticare le vittime, certo, per commemorarle. Nobile intento che fatica a non ridursi a fastidiosa retorica, soprattutto quando i fatti sono così numerosi e così lontani. Per non dimenticare l’evento, certo, per mantenere appiccicata in fronte quella data, magari anche quel macabro bilancio, sterile nozionismo che non si sa mai possa un giorno venire utile in qualche test di ammissione, concorso, gioco a quiz.
Se fossero queste le ragioni degli anniversari, questi ultimi non sarebbero altro che un drammatico modo di occupare spazio e tempo, inutile all’esistenza sociale, se non controproducente nella sua negatività. No, si ricorda per un motivo ben diverso, si ricorda per quella ragione tanto spesso ripetuta dalla maestra e oggi sempre più passata di moda: si ricorda perché per capire il presente bisogna comprendere il passato. Questa ragione, che suonava così tautologica da bambini, acquista un significato profondo e proprio all’affacciarsi verso un mondo in cui raramente le cose sono come appaiono. E se per capire l’oggi bisogna conoscere il passato remoto è ancor più evidente come per capire l’immediato sia necessario comprendere il passato prossimo, un passato che sfocia senza soluzione di continuità nel presente.
Per questo motivo non bisogna dimenticare la strage di Bologna; uno solo, seppur forse il più rumoroso, di tanti tasselli che vanno a comporre un disgustoso mosaico fatto di stragi e terrorismo, un devasto di oltre vent’anni della storia del nostro Paese. Tasselli che ancor oggi non compongono un’immagine chiara, ma piuttosto un confuso intreccio di fili rossi e neri, di fili grigi e di fili trasparenti, la cui provenienza è in alcuni casi dubbia; a volte sembra addirittura essere esterna alla tela. Un’immagine oscurata da un’ombra inquietante, che potrebbe ben intitolarsi la notte della Repubblica.
Gli intrecci di allora sono quelli che, in un modo o in un altro, con colori più o meno diversi, sotto un cielo più o meno soleggiato, si sono sviluppati nella complessa trama politica e sociale di oggi. Così, a meno di essere apatici esseri in attesa esclusivamente di intrattenimento immediato – come un’oca all’ingrasso che col becco forzatamente spalancato s’ingozza di qualsiasi cosa gli venga proposto “si rende necessario, per chi voglia essere consapevole più possibile del mondo che vive, di provare a capire quegli intrecci, esigere la verità, farsi un’idea delle dinamiche di allora, che, frutto delle sempiterne leggi fisiche, si ripropongono in forme e varianti diverse oggi” e domani.
A questo servono le giornate della memoria: a occupare qualche minuto leggendo un articolo su wikipedia, a guardare un documentario, ordinare un libro, porre (e magari porsi) qualche domanda.
Per non dimenticare. Ovvero, per essere, il più possibile, liberi.