“Lo conosci?”
“No, lo vedo tutti i giorni”
A volte basta un po’ di schietta sincerità per riuscire a parlarsi, a comunicare davvero, ma certo deporre l’ipocrisia non è semplice; la vita di società ormai si fonda su una legge spietata: per affermarsi bisogna imparare a mentire.
Sulla scena dell’Argot due signore attempate si ritrovano per il consueto incontro settimanale. Una partita di burraco, un tè earl grey e un po’ di spettegolamento sulle amiche assenti: tutto insomma sembrerebbe apparecchiato per consumare il ben noto cliché borghese, eppure fin da subito qualcosa di bizzarro e inatteso si sottrae al prevedibile. Non si tratta però delle frecciatine acide o dei colpi bassi, né del fatto che poco a poco l’aria si surriscalderà fino a prorompere in un’eruzione di accuse e rivelazioni; no, tutto ciò, per quanto efficace, risponde a una tradizione che dal romanzo borghese del Settecento fino ai giorni nostri ha dominato buona parte della narrativa di matrice europea.
Ciò che, invece, salta immediatamente – e inevitabilmente – all’occhio è che a vestire i panni delle signore siano due uomini (Alex Cendron e Alessandro Riceci). O meglio, ciò che in realtà colpisce di più è che questa inversione non susciti il benché minimo sconcerto, anzi, il pubblico la accetta, la assimila e quasi la accantona dopo appena pochi minuti. Già, perché la scelta della regista Veronica Cruciani ha ben poco a che spartire con la comicità en travestie. La malcelata presenza maschile nei corpi delle protagoniste, infatti, traccia il segno di un’ironia drammatica: ironia che nega l’affettazione formale delle due signore per mostrare oltre le parole quella verità che cova latente dietro il trucco del rito sociale. “Chi ostenta ha qualcosa da nascondere” afferma a un tratto – il notevole – Cendron.
Ecco allora che caduta la rassicurante maschera della menzogna e del silenzio, i due interpreti si spogliano di tailleur, parrucche, gioielli, per scagliarsi in una violenta lotta, fisica e verbale, che finalmente concederà duri ma liberatori colpi di verità.
Una piccola drammaturgia squisitamente letteraria quella di Carlotta Corradi – assai acuta nella battuta, più tradizionale nella costruzione -, che pur percorrendo sentieri già battuti trova nell’intuizione di Cruciani una brillante lettura scenica in grado di restituire la fragilità, la ridicolaggine e la bestialità che sottende i rapporti sociali codificati.
Teatro Argot Studio, Roma – 13 febbraio 2015
In apertura: Foto di scena ©Laila Pozzo