Paul McCartney ritorna in Italia.
L’ultima volta, 8 anni fa, a Roma, in un doppio concerto, prima al Colosseo, poi ai Fori Imperiali, dove il suo show ha visto la partecipazione di quasi un milione di persone.
Due date, il 26 a Bologna, dove non ha mai suonato e il 27 a Milano, dove invece ha suonato più volte, la prima con i Beatles il 24 giugno 1965 al Vigorelli, l’ultima nel 1993, il 18 febbraio, per il concerto che ha aperto il New World Tour in occasione dell’uscita del disco Off the Ground.
L’attesa è grande, e la si può sentire tra le parole della folla in coda fra il gelo e la nebbia, tra chi Paul l’ha già visto, e snocciola curiosità e ricordi su tutte le date a cui ha partecipato, e tra chi invece Paul non l’ha mai visto, e che attento ascolta i racconti e prova ogni tanto a infilarci in mezzo le sue storie sui Beatles, da quelle personali legate al primo ascolto a quelle misteriose, trovate nei numerosi libri su di loro che sempre più infestano le librerie o vengono ascoltate dalla bocca di qualche roadie ubriaco incontrato in un vecchio pub di Liverpool.
Perché prima di tutto i Beatles sono Storia, storia di un mondo che ha cominciato a cambiare proprio sulle loro note e che ancora continua a riflettere su quegli accordi nei suoi momenti più salienti, basti pensare a come le canzoni dei Beatles vengano trasmesse da radio e televisioni ogni volta che accade qualcosa di particolare, ma i Beatles, ed è proprio questa la loro grandezza infinita, sono anche storia personale di ogni persona che ha ascoltato anche solo una loro canzone. Ogni passione per la musica, non importa se rock, jazz o hip-hop, è nata o passata comunque per un disco dei Beatles.
Il concerto di Paul McCartney è questo.
Un confronto tra tutte le storie personali dei presenti e la Storia. Ascolti Let it Be e sai che è la prima. Canzoni così non c’erano. Le hanno inventate loro. E te ne accorgi fin da subito, quando Paul esce, nel suo vestito impeccabile, nella sua eleganza british, con il suo basso Hofner, lì a guardare il pubblico in uno sguardo che avvolge e coinvolge, che annulla la distanza nello stesso momento in cui afferma la grandezza di tutte le emozioni che sta per regalare e di tutte quelle che ha regalato in quasi cinquant’anni di carriera.
Le dita scivolano sul basso, le scommesse sul pezzo con cui aprirà sono appena state chiuse, e senti già che questa sarà un’altra storia che tra qualche anno racconterai. Il giorno in cui ho visto la storia del rock, il giorno in cui Paul iniziò con Hello Goodbye.
La band è la stessa che ormai lo accompagna da dieci anni, quando, dopo la morte di Linda, è ritornato sulle scene con una serie di tour che hanno girato tutto il mondo. Dal Messico alla Piazza Rossa di Mosca.
Abe Laboriel alla batteria, Rusty Andersson alla chitarra, Brian Ray, chitarra e basso e Paul “Wix” Wickens alla tastiera (già presente anche nella data di Milano del ’93).
Una band solida, dura, meno elegante di quella di prima, più attenta a costruire un muro di suono che agli orpelli, ma precisa nel disegnare tutto il paesaggio sonoro che contraddistingue gli arrangiamenti dei Beatles prima, dei Wings poi, e di McCartney solo dopo.
La scaletta è la stessa da ormai dieci anni, con alcuni punti fissi, come All My Loving, Let Me Roll It, Here Today, scritta dopo la morte di John Lennon, Something, suonata con l’ukelele, strumento molto amato da George Harrison che ne regalava sempre uno agli amici che passavano a casa sua, come racconta Tom Petty nel documentario Living in the Material World.
I fuochi d’artificio che scandiscono i passaggi di Live and Let Die, il medley A Day in the Life – Give Peace a Change, Band On the Run.
Le novità di questo tour sono Junior’s Farm, scritta con i Wings nel 1974, The Night Before, prima volta a Milano, come sottolinea in un italiano incerto e Come and Get It, scritta nel 1969 per il film Magic Christian e suonata all’epoca dai Badfinger, gruppo della scuderia Apple.
Ci sono tutti i successi, per una carrellata che attraversa quarant’anni di vita intensa, sempre al servizio della musica, come ricorda George Harrison, che sempre nel documentario Living in the Material World, racconta di come fosse sempre Paul ad insistere per andare in studio a scrivere e a registrare; d’altronde non è un caso che subito dopo l’esplosione dei Beatles si sia comprato casa in Cavendish Avenue, proprio dietro gli studi di Abbey Road.
Serietà e passione, è questo che permette a Paul di non essere solo Storia di ieri, ma anche Storia di oggi, e di domani.
Sing the Changes, canta ad un certo punto, canzone tratta dal suo progetto Fireman, e sullo sfondo un’immagine di Obama.
Paul c’è.
E continua a cantare.
Sui libri di scuola ma anche sul palco.
È l’unico.
E a Milano ce ne siamo accorti.