Foto ©Scenari Invisibili

Ius soli, ius mari e diritto alla memoria

Patres di Saverio Tavano/Scenari Visibili

Ius soli, letteralmente «diritto del suolo», in uso contemporaneo-giuridico «diritto di cittadinanza per nascita». No, non è l’inizio di un trattato di propaganda politica, né di una rivendicazione ideologica. Alle volte, per rigetto, capita di riflettere su certi argomenti, non quando questi vengono rimpallati come boomerang multimediali, ma quando proprio non te lo aspetti, magari a teatro.

Capita pure di stare seduti sul palcoscenico del Teatro Parioli e alle spalle non ritrovarsi la platea ma il mare, che non si vede ma si sente. Capita di trovarsi di fronte un ragazzo, cieco proprio quanto lo è lo spettatore seduto su quel palco al buio. Il ragazzo tende le braccia, spalanca i palmi delle mani e dice di vederlo così – lui – il mare; anzi, racconta di avvertirne l’odore e il colore insieme a quello dell’orizzonte, quando è seduto sulla riva, in mezzo al suo cane e alla sua attesa. Attesa di cosa, di chi? Poco importa, perché nel frattempo le parole del cieco sono diventati occhi che sanno mostrare: il porto, i pescatori, la Calabria, l’orizzonte e tutto quanto geograficamente c’è al di là di esso, fino al ritorno – come a bordo di un mappamondo – in quello stesso porto, sempre in Calabria.

Non si fa in tempo a godere di una inattesa sensazione rassicurante che, tra la salsedine e il neorealismo (sarà per i pescatori, sarà per l’uso del dialetto, ma sembra di essere in La Terra Trema di Visconti) arriva qualcuno. È il padre del ragazzo, un tipo verace, pescatore per ius sanguinis, vedovo, costretto a crescere un figlio cieco e a tirare le reti dei sensi di colpa. Colpa di non essere presente, di non saper essere padre fino al punto di lasciare al figlio di essere figlio; colpa di non saper spiegare la vita a chi glielo chiede; e poi la colpa, la vigliaccheria di chi racconta storie di dolore e morte come fossero avventure di altri, per liberarsi dal peso di averle vissute.

Dario Natale e Gianluca Vetromilo (Scenari Visibili) sbattono in faccia al pubblico la forza devastante di un legame tra padre e figlio, che si infrange come l’onda sullo scoglio, destinato com’è a risolversi in una attesa perenne, una aspettativa mal riposta: Saverio Tavano mette in scena con Patres – più che l’epica di una eredità, quella del naufragio di un Telemaco contemporaneo – un tentativo di indagine sullo scarto tra la necessità di conoscere le proprie origini e il bisogno di rompere definitivamente con esse.

Una volta scesi dal palcoscenico, lo spettacolo già scompare come il solco sul bagnasciuga cancellato dal ritrarsi dell’acqua: in fondo si tratta di rispettare un diritto, uno ius maris, perché il mare è come la vita, non si può ereditare, non basta galleggiare, bisogna nuotare.

Teatro Parioli “Peppino De Filippo”, Roma – 13 ottobre 2015

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