PasoliniMania
Antonio Latella, Linda Dalisi e il tributo stanco di 'MA'
Pier Paolo Pasolini, l’uomo, l’artista che correva più forte di tutti, anche del tempo, il martire. A quarant’anni di distanza dalla tragica morte avvenuta il 2 novembre del 1975 a Ostia, lo scrittore è divenuto, specie in quest’ultimo interminabile anno di commemorazione, una vera e propria icona pop. Libri, spettacoli teatrali, mostre, letture, discutibili film e documentari sono stati dedicati a PPP in maniera quasi compulsiva, tanto da farlo finire (ahimè), alla stregua di Che Guevara, sulle T-Shirt di molti giovani. Su quest’onda cavalca MA, il frutto della collaborazione tra Antonio Latella (regia) e Linda Dalisi (testo), con un espediente, però, che avrebbe potuto differenziarlo dagli altri: il punto di vista materno.
Il ben noto sentimento filiale di Pasolini per sua madre è sempre stato intensissimo, condito da un reciproco amore incondizionato e insostituibile, che nel corso degli anni diverrà anche una condanna. Sono numerosi e costanti, infatti, i riferimenti a Susanna Colussi nelle opere pasoliniane, culminati in una struggente poesia – Supplica a mia madre – nella quale il dramma interiore del poeta si riverbera in quello privato e sociale. È proprio da un verso di essa – «È dentro la tua grazia che nasce la mia angoscia» – che la drammaturgia di Dalisi trae linfa vitale, cercando un ribaltamento sentimentale e figurale: questa volta è lei che cerca di parlare di quella bellezza, evoluta in sofferenza.
Sul palco quasi totalmente spoglio del Teatro Kismet, assistiamo al monologo rantolante di una sorprendente, per emotività e intensità, Candida Nieri. È seduta su uno sgabello per quasi tutta la durata dello spettacolo, immobilizzata da enormi scarpe maschili che le impediscono di camminare (costumi Graziella Pepe). Il macigno del figlio provoca l’annullamento del suo corpo. Dalle sue narici inizialmente cola del muco, mentre tra le mani stringe un microfono, avvolto in un fazzoletto in maniera molto protettiva: si tutela la parola, struggente e mai doma. Di fronte a sé c’è una rastrelliera nella quale sono esposte alcune lampade, un mappamondo e altri oggetti di uso quotidiano.
Profonde riflessioni dell’attrice/madre si alternano ai versi di Pasolini. Termini cinematografici lasciano spazio a brandelli di parole tratte da pellicole (Mamma Roma, Accattone, Il Vangelo Secondo Matteo) o registrazioni d’epoca. Alla fine la protagonista riesce a divincolarsi dalla sua immobilità, ripone delle scarpette al centro della scena e, sempre nelle sue enormi calzature, con un passo alla Charlot, si avvia verso l’uscita. Ha condotto un viaggio sull’enorme figura di un poeta, ma anche su suo figlio.
La coppia Latella-Dalisi, dunque, compone un collage di momenti più o meno intensi, dando vita a una pièce che, pur nella sua originalità formale, non si allontana dalla gran parte degli spettacoli commemorativi visti nei teatri italiani nell’ultimo anno. Forse l’opera pasoliniana è considerata ancora inavvicinabile, o ancora, la temuta inadeguatezza culturale del pubblico è valutata troppo consistente; ma a fine spettacolo non ci si può non chiedere se un citazionismo così diretto sia, oggi, davvero necessario.
Ascolto consigliato
Teatro Kismet, Bari – 6 novembre 2015