Paranoia 1.0 – Jeff Renfroe, Marteinn Thorsson
One point 0, Paranoia 1.0, Version 1.0, Virus 1.0 sono tutti titoli che si riferiscono a un film del 2004 diretto da Jeff Renfroe e Marteinn Thorsson, filmato interamente a Bucarest. Partendo da un budget molto limitato gli autori sono riusciti a ridurre al minimo la sceneggiatura, affidando ai dettagli sia la narrazione della vicenda che la descrizione dell’ambiente e delle sue dinamiche.
Dai tratti angoscianti dell’horror, è una distopia noir di un futuro non troppo lontano né troppo fantascientifico, in cui si svolgono i misteriosi fatti. Non è possibile collocare le vicende nello spazio e nel tempo in modo assoluto; solo un quotidiano, “The Global Sun”, dà al luogo in cui si svolgono i fatti il nome di Montevideo e porta la data di Dienstag – Martedì 9 Aprile (il prossimo sarà nel 2019). Lo stesso giornale ci informa essere in un tempo in cui esiste una tecnologia capace di creare cellule programmabili che possono essere assorbite dal corpo umano.
Per tutta la lunghezza della pellicola le immagini si limitano a esprimersi in uno spettro ristretto di colori, che va dal rosso al giallo, contribuendo al senso di claustrofobia e limitatezza di opportunità che permea l’intero film. Unico ambiente che fa eccezione alla severità della gamma è quello del supermercato dove una potente luce bianca al neon sparge un’aria asettica e intimidatoria sugli scaffali pieni di prodotti dai colori sgargianti. A Montevideo sembra sia quasi sempre notte e le poche volte che s’intravede la luce del giorno, il cielo è plumbeo e impenetrabile. La maggior parte delle riprese si svolge all’interno di un palazzo fatiscente, con i neon intermittenti e il perenne gocciolio delle tubature. Ammassi di rottami di tecnologia recente ma già obsoleta giacciono negli angoli e per terra, ma niente fango, né foglie, né insetti. Simon (Jeremy Sisto), il protagonista della storia, beve solo latte; è un programmatore informatico che lavora come contrattista per un’azienda, creando antivirus.
Un giorno Simon trova in casa un pacco: vuoto. Preoccupato, installa un antifurto di ultima generazione, ma nonostante questo, i pacchi continuano. Simon, che nel frattempo si sente sempre peggio sia fisicamente che psicologicamente, esce a indagare fra gli abitanti del palazzo. Anche i vicini non stanno molto bene Uno scopofilo Padrone di casa (Emil Hostina) trascorre le giornate a spiare i propri inquilini tramite le telecamere di sorveglianza; il suo frigo è pieno solo di grossi pezzi di carne. Farm Cut. Il Vicino (Bruce Payne) è un invasato che vive con un aggressivo pastore tedesco e si dedica a una realtà virtuale pornografica accessibile tramite un aggeggio simile a quelli a moneta per vedere il panorama dalle cattedrali. Beve 500 (Farm-hundred) Cola. Derrick (Udo Kier) è un anziano appassionato di nanotecnologie e robotica che, oltre ad avere un divano telecomandato che cambia colore e si pulisce da solo, consola la propria voglia di un erede costruendo una testa di bambino parlante che si chiama Adam. Beve Cognac. Trish (Deborah Kara Unger) vive in fondo al corridoio e ogni tanto partecipa ai giochini birichini del Vicino. È un’infermiera impiegata nel reparto malattie terminali dell’ospedale. Turno di notte, lacrima facile. La sua borsa contiene sigarette, pillole, vitamine, integratori. Howard (Lance Henriksen) è un aggiustatutto vecchia scuola, che vive nei sotterranei in compagnia di scarafaggi elettrici, bevendo vino fatto da vera uva.
La recitazione dei personaggi, quasi minimalista, contribuisce a creare un’atmosfera di solitudine e isolamento, apatica, in cui non vi è alcuno spazio per la personalitàe la libera iniziativa. L’ansia è acuita dalla colonna sonora, composta in gran parte di squilli di telefono, clangori metallici, sveglie, allarmi. Unica musica proveniente da Montevideo è una rara e alienante elettronica. Simon si troverà presto in crisi nelle sue indagini non sapendo di chi potersi fidare.
“Le cose stanno cambiando”, “Devi fidarti di me” gli dirà, prima o poi, ogni personaggio. Invischiato in storie di omicidio, sesso q.b. e scadenze di lavoro, annegherà sempre più in un male che riconduce al ricevimento dei misteriosi pacchi, ma del quale non riesce ad afferrare nitidamente l’origine, un male nei confronti del quale ogni sistema intelligente, sia esso umano o artificiale, sembra essere vulnerabile. È l’epidemia di un virus, un virus oscuro, che ha a che fare con il cibo, con la pubblicità, con i farmaci, che colpisce sia le persone che le macchine, costringendole a cercare sicurezza e protezione, ad assumere o installare upgrade di software o medicine.
Nonostante le molte strade interpretative che si aprono fino alla fine del film, a visione conclusa la trama si rivela coerente, per nulla campata per aria e anzi a tratti spaventosamente simile in certi aspetti a situazioni che abbiamo incontrato spesso nel nostro mondo. Pessimista, cospirazionista, Paranoia 1.0 descrive la deriva peggiore e desolante di una società frammentata, della quale esiste un disegno che però nessuno sembra conoscere, governata dalle forze senza volto del progresso, del marketing, della tecnica.
“I don’t know the big picture”, risponde il capo a Simon quando questi gli chiede a cosa serva il proprio lavoro; “Non decido io i prezzi” è quello che dice il commesso all’incredulo di fronte a un conto da 80 dollari per tre cartoni di latte. “Scienza, che alternativa abbiamo?” verrà chiesto retoricamente al momento di porgere la nuova versione delle medicine, cura per gli effetti collaterali causati delle precedenti. “Devo rendere conto ai miei superiori”…
Provocante, originale, intelligente, Paranoia 1.0 o comunque vogliate chiamarlo è un film che merita di essere visto una prima volta per esserne sconvolti e una seconda per apprezzarlo nella meticolosità e numerosità dei dettagli mai banali, sparsi ovunque con stile, lasciando un ristrettissimo ma vitale spazio di libera interpretazione.