chitarra

Paper Street intervista gli Entropica

Come nasce il progetto Entropica? Raccontate la vostra band a chi non vi conosce.

Il progetto Entropica nasce con questo nome e questa formazione solo a febbraio 2010 dopo che Nicolò, Emanuele e Davide hanno testato numerosi vocalist. Dopo aver sperimentato anche Sofia decidono di assorbirla nella formazione e parte l’avventura. Il nome è stato scelto per il suo significato, molto indicativo della natura del gruppo secondo noi. Riferendosi al principio fisico dell’entropia, cioè il caos primordiale presente nell’universo, per noi sembrava molto una specie di “manifesto”, una specie di lotta all’ordine, rappresentando un caos che abbiamo fatto nostro per combattere gli equilibri che già esistono nella scena, sia a livello di panorama emergente che nazionale. Dopotutto conformarsi alle scelte degli altri non è sempre una scelta vincente e tentare di combatterle, a volte standone fuori e a volte entrando nel loro mondo, è forse una carta che vale la pena giocare.

Quale delle vostre canzoni ritenete più rappresentativa del vostro stile, del vostro suono?

Secondo il nostro modo di vedere la nostra musica ogni pezzo brilla di luce propria, nel senso che contiene influenze, sfaccettature e significati diversi l’uno dall’altro. Sicuramente c’è un filo comune, dettato dal sound dei singoli strumenti, provenienti dall’esperienza del singolo. Il risultato collettivo comunque è sempre molto differente, anche se potremo elevare ad esempio del nostro sound il pezzo “L’Uomo Perfetto”, con un ritornello piuttosto catchy e un andamento ballabile, come molti dei brani che stiamo componendo e non abbiamo ancora proposto live. Per il resto la carica è sempre un elemento essenziale, e quasi tutti i pezzi hanno i loro climax, come si può avvertire anche nella lenta “Hai Bisogno di Avere Bisogno”, testimonianza delle influenze alternative che provengono dai nostri numerosi ascolti, tendenzialmente mirati però alla scena rock italiana recente.

Quali band avete come riferimento e influenza? Leggo sul vostro Space che le cover che solitamente suonate live sono abbastanza diverse dal suono che contraddistingue le vostre canzoni, per quello che ho sentito, come Rainbow di Elisa o Hallelujah di Jeff Buckley, Redemption Song… Ci spieghi come nasce questa scelta?

Le nostre influenze, come stavo per accennare, sono molte e sono indirizzate perlopiù al panorama alternativo italiano. Bisogna premettere però che citare queste band non significa che noi ci ispiriamo a loro o che copiamo dal loro sound, ma semplicemente che fanno parte dei nostri ascolti e del nostro background musicale. Seguendo questa linea di pensiero si capirà che sicuramente questi artisti ci hanno influenzati, chi di più chi di meno, ma il loro stile e i loro elementi distintivi non vengono inseriti forzatamente nei nostri pezzi, come invece fanno molte band emergenti del giorno d’oggi, proprio per evitare di diventare l’ennesima copia di copie.
Detto questo nel panorama italiano ci piacciono molto i classici Afterhours, Verdena, Marlene Kuntz, o i più recenti Le Luci della Centrale Elettrica, Il Teatro degli Orrori e Ministri. A livello internazionale spiccano sicuramente Muse e Placebo, tra quelli mainstream, ma c’è anche qualche elemento del grunge di Seattle.
Per quello che riguarda le cover il discorso è un po’ spinoso. Noi ne facciamo alcune a livello di sala prove per passare il tempo e le proponiamo in concerto solo quando ci vengono richieste in maniera particolare o per esigenze di tempistica. Io personalmente sono uno dei sostenitori della “crociata” di alcune band emergenti contro le tribute band per cui non mi metterei mai a fare più di una cover per live, proprio perché il nostro concerto dev’essere inteso come una proposta di pezzi nostri e al limite una cover per far cantare il pubblico. Quella che suoniamo sempre, a questo scopo, è Redemption Song, mentre le altre sono eseguite solo su richiesta dei gestori dei locali e degli spazi dove proponiamo la nostra musica.

E’ Sofia a scrivere i testi, giusto? La voce femminile è già una particolarità del vostro suono: anche i testi lo sono, banali e interessanti. Come nascono?

I testi sono scritti a tre mani, alcuni da Sofia, alcuni da me, Emanuele, e altri da Nicolò. Sofia svolge anche però il ruolo di “correttore di bozze”, se così si può definire l’attività di adattare i pezzi al suo stile e alle metriche delle canzoni, quando non sono scritti da lei. Quindi la sua mano si ritrova anche sui testi di cui non è direttamente l’autrice, come Tempo al Tempo oppure la già citata Hai Bisogno di Avere Bisogno.
Nascono in diversi modi: alcuni influenzati dal sound delle canzoni composte a monte, per esempio mentre le stiamo provando, lasciandoci ispirare dalle note e dai riff dei pezzi stessi (e solitamente in questo modo nascono i testi più astratti). Quelli più “seri” nascono invece da sessioni di scrittura domestiche, non sempre fatte per l’esigenza di riempire con la voce un testo, magari scritti in momenti d’ozio e poi adattati a qualche brano successivamente. Non sempre prevale l’esigenza di comunicare qualcosa di particolarmente profondo, però a volte tentiamo di dare un significato universale ai brani, parlando di tematiche che possono interessare tutti a livello personale. Ad esempio L’Uomo Perfetto critica il conformismo di chi si vuole adattare agli altri imitandoli anche se questo è sconveniente, anacronistico, stupido. Hai bisogno di avere bisogno parla dei bisogni delle persone, quei bisogni indotti o avvertiti perché parte di una cultura che te li inculca fin da piccolo, come il bisogno di una fede religiosa, il bisogno di una fede politica, il bisogno di far parte di certi ambienti. Insomma ci sono alcuni testi che riteniamo possano parlare anche di chi li ascolta, non solo di chi li ha composti.

Programmi per l’estate? Leggo che avete in programma una serie di date.

Quest’estate i componenti della band si dedicheranno più all’attività di composizione che al live, in quanto a causa di una serie di impegni siamo costretti a rimandare molti concerti in autunno ed inverno. Lì le date saranno parecchie, così come ci saranno molte interviste e passaggi di brani in radio e siti specializzati. Per quest’estate abbiamo anche pensato di fare un progetto un po’ particolare, dal nome Acustica Abusiva, con il quale porteremo la nostra musica, in versione unplugged, in luoghi pubblici affollati, come i concerti dopo la fine della band principale, per farci un po’ conoscere. Poi abbiamo un concerto insieme ai celebri Pan Del Diavolo qui nella nostra Rovigo, e qualche altra data verrà confermata. Speriamo sia una bella estate entropica.

A quando una registrazione in studio, magari un EP?

Il nostro obiettivo primario è sicuramente una registrazione in studio che ci permetterà per la prima volta di sondare il terreno della critica e delle etichette, mandando il materiale a scopo promozionale anche a chi la musica la valuta per lavoro. E’ li che si tenterà di capire se il nostro progetto vale davvero, anche se siamo un po’ diffidenti nei confronti di gente che fa questa cosa per lavoro ed è spesso compromessa con la discografia impegnata a dirigere il “traffico musicale” verso certi indirizzi, come dimostrano TRL e menate varie. In sostanza un EP, che è diventato il formato più popolare per debuttare, potrebbe essere registrato nei primi mesi nel 2011, anche se allo stato attuale delle cose è una visione ottimistica. Per ora ci divertiamo a suonare fuori per farci conoscere perlomeno nella nostra regione, poi si vedrà.

Grazie


Per 15 anni Paper Street è stata una rivista on-line di informazione culturale che ha seguito con i suoi accreditati i principali festival europei di cinema e musica: decine di collaboratori hanno scritto da tutta la penisola dando vita ad un archivio composto da centinaia di articoli, articoli che restano a disposizione di voi lettori che siete stati un numero incalcolabile nonché il motivo per cui, per tanto tempo, abbiamo scritto con passione per questo progetto editoriale che ci ha riempiti di soddisfazioni.

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