Una piccola tregua – Paolo Cattaneo
Un’opera artistica di pregevole fattura
Matteo Cantaluppi, «ancora tu/ma non dovevamo vederci più?». Questa è stata la prima cosa che, va detto molto ironicamente, larga parte della stampa e degli addetti ai lavori hanno pensato quando è uscita la notizia del nuovo album di , intitolato Una piccola tregua per Lavorarestanca (edizioni Eclectic Music Group/Music Union, distribuzione Audioglobe) e prodotto dal già citato Matteo Cantaluppi.
Il ragionamento è arrivato dal fatto che quest’anno il produttore ha già curato gli album di Thegiornalisti ed Ex-Otago ed ora questa nuova prova è giunta un po’ a sorpresa. Tuttavia, sia per l’intrinseca bravura Cantaluppi sia per l’indiscusso talento di Paolo Cattaneo, l’esito è stato di ottimo livello: Una Piccola Tregua è infatti un album bellissimo, davvero elegante e che si lascia ascoltare sia “tutto d’un fiato” sia a “piccoli sorsi”. La terza canzone per esempio, Trasparente, è un gioiellino di pop cantautorale. Per questo pezzo Cattaneo ha trovato ispirazione da una poesia di Luciana Landolfi dedicata al poeta Giovanni Raboni.
Ed è un po’ questa la sensazione che dà l’intero LP: una qualità diffusa, un’opera artistica di pregevole fattura ma non per questo pesante o troppo intellettualistica. Si prenda Il Miracolo la quarta canzone: «La mia vita insieme a te/è un miracolo» canta Cattaneo. Qualsiasi (o la maggior parte) tra i cantautori e i cantanti in circolazione di fronte ad una simile strofa suonerebbe trito o gonfio di retorica.
Paolo Cattaneo invece, sostenuto da un arrangiamento à la Cantaluppi (con impercettibili quanto evidenti intarsi elettronici) è il quanto più onesto e puro verso l’ascoltatore. Ecco perché la foto di copertina, realizzata da quel “mostro di bravura” che è Ilaria Magliocchetti Lombi è lo scatto perfetto per descrivere e questo disco e l’artista: una mattina d’inverno cristallina e incontaminata, uno di quei giorni che sono fatti per camminare, ricordare il passato e vivere l’immediato istante.
Due età un tempo è la canzone da fare suonare sul piatto alla sera, di ritorno dalla montagna, dai ghiacciai e dalle insormontabili cime del proprio lavoro. Con un testo del genere, dove perfino gli “angeli si mettono ad urlare” per citare Rainer Maria Rilke, anche la più tossica delle giornate diventerà, immediatamente, un tiepido mattino di marzo sul crinale di un monte ancora metà bianco e non del tutto grigio.