Vent’anni dopo, l’abisso rivelato
L'Orestea di Romeo Castellucci torna in scena, o quasi
Il fuoco della città di Troia arde già in scena al teatro Argentina fra rombi sinistri, trambusto, suoni di sirene come presagio di un bombardamento imminente: è il segno inequivocabile che la città è caduta e che si aspetta, finalmente, il ritorno ad Argo del re Agamennone.
Si parla sempre di “spaesamento” ogni volta che ci si accosta al teatro di Romeo Castellucci, eppure c’è da dire che l’Orestea (una commedia organica?) (trilogia di cui, purtroppo, non abbiamo potuto vedere la terza tragedia, le Eumenidi, per problemi burocratici legati alla presenza dei macachi/Erinni in scena) si snoda lungo linee direttive piuttosto chiare, rispettando anche in modo altrettanto lineare l’andamento della fabula.
Castellucci, già vent’anni fa, si liberava così del fantasma dell’“attualizzazione del classico”: il classico non è attuale, il classico risale alla Grecia del V secolo a.C., all’origine della civiltà occidentale prima ancora del suo pensiero razionale compiuto; alla materia organica e pulsante del teatro come rito originario. Certo questo non vuol dire che l’Orestea sia una rappresentazione fedele alla versione di Eschilo: tutt’altro. Per vivere appieno il teatro di Castellucci bisogna pur sempre sprofondare in una dimensione verticale, in un mondo altro dominato da leggi proprie, un po’ come l’Alice in Wonderland di Carroll. E non è un caso se nell’Agamennone il Corifeo coincida proprio con il Bianconiglio (Simone Toni), una sorta di pupazzo minaccioso à la Donnie Darko che in stato confusionale sovrapporrà la storia di Alice a un’altra, quella di Ifigenia, la figlia di Agamennone sacrificata dal padre per propiziarsi gli dei e che dà il via alla catena violenta di delitti e castighi della dinastia degli Atridi: Clitennestra ucciderà Agamennone, anni dopo Oreste vendicherà il delitto del padre assassinando Clitennestra e il suo amante Egisto.
Il sangue chiama sangue, zampilla rosso fuoco nell’oscurità rumorosa dell’Agamennone (prima tragedia della trilogia), come nel bianco opaco e polveroso delle Coefore ammantato di un silenzio abissale in cui la parola è riassorbita nella carne. La colpa si propaga come una piaga da una generazione all’altra per la colpa originaria da cui nessuno può sfuggire: l’essere uomini di fronte alla divinità, ancora dominante in questa trilogia che segna il passaggio dallo stato di natura arcaica allo stato della polis moderna. Eppure, qui un nichilismo violento sembra spazzare via le sorti progressive del destino umano nel susseguirsi delle scene che sono vere e proprie apparizioni: c’è la danza di tenera ingenuità di Agamennone, ometto inconsapevole di sé e del suo potere (Fabio Spadoni), o l’Egisto effeminato e impellicciato (Georgios Tsiantoulas) simbolo del nuovo potere che avanza. In realtà, soltanto delle ombre fiacche al cospetto del corpo prorompente e perturbante di Clitennestra (Marika Pugliatti), idolo votivo da incubo dal “carattere virile”, come già in Eschilo, o di quello offuscato di una disperata Cassandra (NicoNote) ingabbiata nella sua preveggenza — espressioni di un ribollente femminino sacro dionisiaco presto soppiantato dall’ordine apollineo del patriarcato.
La prosperità strabordante della donna fa da contrappunto a pallidi corpi maschili piegati dalla fame e gettati in un nuovo mondo indecifrabile. Ecco il progresso dell’uomo: sono Pilade (Antoine Marchand) e Oreste (Marcus Fassl), due Pierrot anoressici costretti a ripetere movimenti in sincronia forse per cercarsi un’identità. Oreste è un nuovo Amleto dilaniato dal dilemma — scontro tellurico fra divinità e interiorità da cui ha origine tutto il teatro occidentale. Ma se il figlio di Agamennone era schiavo del volere divino, qual è la nostra schiavitù, oggi? Forse quella tecnologia che rende inermi e ciecamente devoti una forza superiore, la stessa che tiene in vita carcasse già morte, come nell’immagine disturbante del capro/Agamennone scuoiato e attaccato ai tubi, o come il supporto artificiale di Oreste che lo costringe allo stesso movimento al di là del suo controllo (e non è quello che ci succede oggi con gli smartphone)? E cosa succederebbe se all’improvviso quel leggerissimo “velo di Maya” che è sempre stato lì a dividere palco e platea si squarciasse al suono di un rombo eclatante?
Scrutare l’abisso troppo a lungo può essere pericoloso. Lo scriveva Nietzsche, e anche Deleuze quando in Logica del senso affermava che «il fondo dello spirito è caos, delirio, indifferenza». Castellucci riesce a scavare in quello stesso fondo primordiale dello spirito umano e fa sì che l’invisibile prenda forma, che l’archeologia dell’inconscio assuma consistenza, che l’indicibile trovi strada in una serie di quadri, presenze, apparizioni che si rivelano in una forza deflagrante precedente qualsiasi significato razionale, compiuto, scontato. Non solo il regista cesenate porta tutto questo alla superficie dei corpi e della parola, ma ne fa anche un capolavoro.
Teatro Argentina, Roma – 4 ottobre 2016 al
Crediti ufficiali:
Di Romeo Castellucci Musica Scott Gibbons
Persone del dramma
CONIGLIO CORIFEO Simone Toni
CASSANDRA/PIZIA NicoNote
CLITENNESTRA Marika Pugliatti
AGAMENNONE Loris Comandini
EGISTO Georgios Tsiantoulas
ORESTE Marcus Fassl
PILADE Antoine Marchand
ELETTRA/ATENA Carla Giacchella
APOLLO Enzo Lazzarini HERMES Giorgio Consoli
Assistente alla creazione luci Marco Giusti
Direzione della costruzione scenica Massimiliano Scuto, Massimiliano Peyrone
Assistente alla regia Maria Vittoria Bellingeri
Direzione tecnica Eugenio Resta, Gionni Gardini
Macchinisti Lorenzo Martinelli, Andrei Benchea, Rei Ota, Stefano Mazzola
Tecnico del suono Matteo Braglia
Tecnico luci Danilo Quattrociocchi
Automazioni Giovanna Amoroso, Istvan Zimmermann
Attrezzeria Vito Matera
Realizzazione costumi Chiara Bocchini, Carmen Castellucci
Produzione Benedetta Briglia
Promozione e comunicazione Gilda Biasini, Valentina Bertolino
Amministrazione Michela Medri, Elisa Bruno, Simona Barducci, Massimiliano Coli
Produzione esecutiva Socìetas Raffaello Sanzio
In coproduzione con Odéon-Théâtre de l’Europe; Festival d’Automne à Paris; MC2 GRENOBLE; Célestins – Théâtre de Lyon, Théâtre Nouvelle Génération Centre dramatique national de Lyon; La rose des vents Scène nationale Lille Métropole à Villeneuve d’Ascq; Maillon Théâtre de Strasbourg / Scène Européenne; Romaeuropa Festival; TNT Théâtre national de Toulouse Midi-Pyrénées; Théâtre Garonne – scène européenne – Toulouse
Si ringrazia per la collaborazione Centro Protesi INAIL, Vigorso di Budrio e ANMIL
Gli animali presenti in scena sono forniti da Parco Faunistico “Zoo delle star” di Daniel Berquiny, Cirque de Rome di Solovich Dumas
Foto © Guido Mencari (Odéon 2015)