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Edoardo Erba e la vertigine della contaminazione in ‘Nove’

Il Teatro resta uno dei mezzi di comunicazione più antichi della storia dell’ umanità; è sopravvissuto ai cambiamenti sociali del nostro modo di relazionarci. La sua è una storia di trasformazione e adattamenti a una realtà in continuo divenire. Questo è stato possibile anche grazie alla creatività di drammaturghi, registi e attori sempre pronti a mettersi in gioco sul palcoscenico.

Uno di questi è sicuramente il drammaturgo Edoardo Erba, capace fin dalla sua prima opera  (Ostruzionismo radicale 1986) di contaminare la scena con linguaggi contemporanei. Nove, l’ultima sua opera  portata in scena al Teatro Argot Studio dal regista Mauro Avogadro, rappresenta l’apice di queste trasformazioni.

Ed è proprio la scena teatrale a subire il  cambiamento più evidente.  Lo spettatore non ha di fronte a sé la classica rappresentazione teatrale, ma viene inglobato piuttosto in una strana scatola colma di proiezioni video. In questo tubo catodico surreale prendono vita così nove storie raccontate da diciotto personaggi, interpretati da due attori: Massimiliano Franciosa e Claudia Crisafio.

A volte c’è una piccola storia, a volte basta un semplice flash o una battuta per portare in scena l’egoismo della nostra società contemporanea. Dall’imprenditore senza scrupoli che vuole produrre farfalle esplosive per rendere i bambini disabili e fiaccare l’economia dei paesi nemici alla segretaria alle prese con un inquietante capo senza scrupoli, Erba dipinge squarci di un’umanità sopra le righe, sfumati con il cinismo e la comicità di una sitcom americana.

Un’ulteriore trasformazione si sviluppa nel linguaggio; scandito da battute a ritmo incalzante che non danno tregua e permettono di seguire vivamente ogni singola vicenda, spronando a raccogliere i pezzi di questo multiforme puzzle di storie quotidiane poste sotto la lente di un grottesco surrealismo.

Alla fine però qualcosa non torna: è come se improvvisamente il gioco di trasformazioni s’inceppasse.

La linea narrativa, che caratterizza le vicende, mantiene sempre la stessa struttura per ogni racconto: con un inizio, uno svolgimento e un finale inaspettato che alla fine lo spettatore impara a riconoscere già dall’inizio. Ma è proprio questo stesso escamotage a non convincere, soprattutto se si considera l’indiscutibile capacità di Erba di dare sostanza e equilibrio alla scrittura teatrale. A tratti infatti si avverte come una forzatura, quasi si volesse sorprendere a tutti i costi, quasi si trattasse dell’episodio di una serie tv: se questo da un lato può certamente avvicinare lo spettatore, che dimentica così di trovarsi a teatro e riesce a stabilire un legame più immediato e famigliare con il linguaggio; dall’altro dà l’impressione che la contaminazione dei due format sia eccessiva.

In compenso tuttavia si ride molto, di una comicità cinica fatta di freddure e situazioni paradossali, mai fine a se stessa. C’è altresì spazio per un po’ di tenerezza sul finale, e in definitiva non si può dire che ogni sfaccettatura delle nostre vite, dall’amore all’amicizia agli ideali non venga raccontata e  analizzata.

Manca purtroppo la profondità a cui Erba ci aveva abituato con la complessità di Maratona di New York o con la ricchezza di Vaiolo, ad esempio. Da spettatori ci si aspettava forse un lavoro più di questo genere, perché la drammaturgia di Erba negli anni è diventata davvero sinonimo di garanzia: con la loro effimera seppur efficace vita, le storie di Nove danno invece la sensazione di un incompiuto, di una visione privata del suo fuoco drammaturgico.

Letture Consigliate:
• Edoardo Erba con la regia di Mauro Avogadro per Nove piccoli scherzi, di Andrea Pocosgnich (TeC)

Teatro Argot Studio, Roma – 13 novembre 2015

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