Notti magiche
Una rappresentazione virziana della real cinematik
Sembra che Notti magiche (2018) di Paolo Virzì, rappresenti per il regista livornese, una personale confessione del suo approccio in gioventù con il mondo del cinema. Molti registi prima di lui hanno descritto quel mondo, o avvicinamento, mantenendo un certo distacco, nascondendo la realtà con eleganza, spesso facendo intendere il non detto. La stagione della metafora sembra conclusa. Con ironia e semplicità disarmante, Virzì apparecchia una tavola nel suo film, imbandita di ingredienti dai sapori forti, che creano imbarazzo e sconforto. Non vi è nessun tentativo di coprire il gusto reale delle cose con ingredienti di contorno. Assistiamo così a un abbattimento del linguaggio prossemico tra il pubblico cinematografico e il mondo degli addetti al lavoro della settima arte.
Una rappresentazione virziana della real cinematik, ovvero come nella real politik, dei veri meccanismi e processi, nascosti al pubblico, ma noti agli addetti al lavoro. La trama si svolge durante la calda estate romana dei mondiali di calcio del 90, tre giovani sceneggiatori, vincitori di un importante premio, muovono i primi passi nella giungla cinematografica della capitale. I tre protagonisti, risultano fortemente caratterizzati da pregi e difetti, che li rendono unici ma allo stesso tempo complementari alla loro scalata al successo (vedi lavoro non riconosciuto/non retribuito). Una strada ardua e piena di disincanti e fregature. Vrizì infatti si rifà al periodo storico che coincide con il triste tramonto della stagione d’oro, iniziata decenni prima, con la Hollywood sul Tevere. Non mancano citazioni di grandi registi, attori e sceneggiatori dell’epoca ma neppure le modalità negriere del mondo della sceneggiatura, l’isolamento politico di figure artistiche contro il sistema e la mancanza di scrupoli di produttori e affaristi del mondo cinematografico italiano. Il panorama descritto risulta spietato e a volte grottesco, ma ironicamente realistico. Le storie personali o collettive si mescolano e incontrano, seguendo una trama che ha come finale quella in cui ci scappa il morto, o la morte di quell’epoca cinematografica, e che da film di formazione diventa presto un finale in puro stile poliziesco all’italiana.
Peccato per l’interpretazione degli attori, dove non va vista una mancanza di talento o professionalità, ma una rigida costruzione del personaggio che sembra incatenare l’attore ad esso, privandolo di libertà. Una conseguente privazione di naturalezza che si rifà anche sulla trama, che si basa sulle interazioni tra di essi, che schiavi del proprio personaggio, rendono le situazioni prevedibili o quantomeno cristalline nella loro semplicità. Sembra quindi che seppur la realtà raccontata sia lontana dall’essere un mondo semplice e cristallino, i personaggi risultino pedine definite di una scacchiera al servizio della sceneggiatura. Ma, se concediamo alla sceneggiatura un’importante prevalenza su tutto il resto, vi invito a vederci un esercizio scolastico di sceneggiatura, credo voluto. Perché in fin dei conti, se la cornice è il mondo del cinema, la sceneggiatura o il reparto che si rifà ad essa è il quadro del film. Sembra allora che il genere del film possa esser definito di metasceneggiatura: ovvero una sceneggiatura costruita per fare un film che parla di sceneggiatori usando le modalità drammatiche e le caratteristiche stilistiche del mondo della sceneggiatura. Visto così, diventano interessanti le forti caricature dei personaggi, partendo anche solo dai protagonisti che racchiudono in loro modi diversi di scrivere o essere scrittori o per esempio i vari tipi di amori, dal platonico, passando dal non corrisposto, fino a quello fisico o di convenienza. Tutti scenari e personaggi ben delimitati e conosciuti nel mestiere dello sceneggiatore che senza arte ne parte il regista usa a suo piacimento come personale esperimento didattico celato in una trama di un film.
Con Notti Magiche assistiamo alla capacità autoriale di Virzì di raccontare la realtà di determinate questioni sociali, con tenerezza e ironia, mantenendo sempre i piedi piantati per terra ma la testa leggera tra le nuvole. Per quanto sia dolce la descrizione della cruda realtà non ci verrà mai il dubbio di scambiare lo sterco per cioccolato. Questa è la caratteristica che rende interessante i lavori di Paolo Virzì: assistere alla commedia della vita sorridendo ma con un peso nello stomaco quando le luci si riaccendono in sala.