Nosferatu e Caligari: lattualità nellestetica dellorrore
La cineteca di Bologna riporta in sala i due capolavori dell'Espressionismo Tedesco
Il progetto Il Cinema Ritrovato porta, questa volta, in sala due capolavori della filmografia tedesca: Nosferatu e Il gabinetto del dottor Caligari per un febbraio abitato da ombre inquietanti. Due classiche e spaventose icone del silent film tornano in sala nella forma smagliante a cui il laboratorio de L’Immagine Ritrovata della Cineteca di Bologna ci ha ormai abituato.
L’8 febbraio arriva nelle sale italiane Nosferatu di F.W Murnau, regista simbolo della cinematografia tedesca e autore di indiscussi capolavori come L’ultima risata, Faust e Aurora. A novantaquattro anni dal suo esordio sullo schermo, torna al cinema il Conte Orlok interpretato da Max Schreck, una figura che si ricollega al celebre Conte Dracula di Bram Stoker dal quale si distacca per alcune varianti stilistiche, alcune dettate da motivi meramente pratici – come la scelta di non usare il nome di Dracula insieme ad alcune modifiche nell’intreccio dovute a problemi di diritti d’autore mentre altre, legate a motivi più specificamente estetici.
Significativa è la scelta di ambientare le riprese a Lubecca, città in cui aveva soggiornato per due anni Edvard Munch e dove il pittore norvegese aveva ritratto alcuni luoghi in uno stile espressionista che non sfugge a Murnau. L’attenzione e la cura per l’immagine che il regista, con i suoi collaboratori Günther Krampf e Fritz Arno Wagner, impongono alla pellicola si manifesta con gli impressionanti controluce, con il contrasto fotografico e con il passaggio a diversi gradi di oscurità, scelte impreziosite dalle attenzioni scenografiche di Albin Grau che opta per spazi non ricostruiti in studio orientandosi verso ambienti ricchi di specifiche evocazioni pittoriche. I richiami sono chiari: i dipinti di Franz Marc (amico dello stesso Murnau) ma anche Alfred Kubin e soprattutto Kaspar David Friedrich con la sua visione di una natura dirompente e sprezzante dell’uomo e del suo volere.
Dopo il classico di Murnau è il turno del film espressionista per eccellenza firmato da Robert Wiene nel 1920: il 15 febbraio riavremo sul grande schermo la versione restaurata de Il gabinetto del dottor Caligari, curata nel 2014 dal Murnau Stiftung presso il laboratorio de L’Immagine Ritrovata, una versione presentata in anteprima un anno fa alla Sessantaquattresima edizione della Berlinale. Il film è considerato, non solo l’archetipo del cinema espressionista, ma anche antesignano di tutti i thriller psicologici in pellicola e, resta ad oggi, un’opera studiatissima per la sua forza stilistica e concettuale. Un’occasione imperdibile per godere, grazie alla nitidezza della versione restaurata, delle linee spezzate e degli angoli acuti caratteristici della scenografia curata da Roehring, Reimann e Warm. Un film che trasforma radicalmente l’immaginario cinematografico ripensando il profilmico come luogo di visioni allucinate, come territorio in cui si realizzano incubi e paure.
Nello spazio deformato si muovono personaggi che tendono disperatamente verso un obiettivo senza raggiungerlo (Paolo Bertetto) intessendo un racconto che fa dell’ipnosi uno strumento di violenza e coercizione; nell’onirica atmosfera della fiera di Holstenwall si tesse la trama di una giallo psicologico che eredita inquietudini e angosce dalle elaborazioni filosofiche postnietzschiane e del contesto socio economico della Repubblica di Weimar.
La Germania, nonostante la sconfitta bellica, nel primo dopoguerra, sviluppa una filiera dell’industria cinematografica articolata ed efficiente fino alla scelta, negli anni Venti, di fondere diverse società in favore della costituzione dell’UFA (Universum Film AG). È in questo frangente che la cinematografia tedesca, più delle altre europee, si prefigge il compito di creare una nuova esperienza di cultura di massa unendo, nel prodotto artistico veicolato dal nuovo medium, architettura, teatro e letteratura. Non va infatti dimenticato che le avanguardie tedesche erano già mature negli anni Venti e potevano, come poi hanno fatto, portare un contributo importantissimo a questa nuova linea artistica in ambito cinematografico. Basti pensare che negli anni Dieci il movimento espressionista aveva già raggiunto i suoi massimi livelli in altri campi artistici: in quello figurativo, prima con il gruppo Die Brücke (Kirchner, Heckel, Schmidt-Rottluff), poi con la formazione del Der Blaue Reiter (Kandinskij, Marc, Macke) e, nell’ambito teatrale, con le produzioni di autori come Kaiser, Sorge, Toller e registi come Stein e Jessner. La Repubblica di Weimar, con i suoi capolavori cinematografici, sviluppa una politica artistica ben precisa e sperimenta le potenzialità del nuovo medium di massa il cinema – che diventerà, in breve tempo, lo scettro dei totalitarismi.
I paesaggi impregnati d’anima, come li ha definiti Lotte Eisner, che avremo l’occasione di rivedere sul grande schermo, sono quindi un’opportunità di riflessione metaforica sulla crisi socio-economica ma anche esistenziale che l’Europa, e in particolar modo la Germania, stava vivendo in quel periodo. Il contributo che questi film hanno dato alla cinematografia mondiale è stato importantissimo e non è un caso che dalla lettura di questi film sia nata una critica cinematografica specifica e autorevole che ingloba linee, non solo estetiche, ma anche socio-politiche, come accade per la stessa Eisner o per Siegfried Kracauer; quest’ultimo in Da Caligari a Hitler affida, infatti, alla parata di tiranni presenti nelle opere filmiche di questo periodo, una prefigurazione dei regimi totalitari che ammorberanno l’Europa di lì a poco.
Restaurare e riguardare un film significa anche riappropriarsi di una storia critica necessaria al presente, è perciò importante che, assieme al lavoro di restauro e riedizione di film culto, ci sia, da parte degli enti competenti, una riedizione di testi fondamentali come Lo schermo demoniaco, introvabile da anni, scritto da un monumento della critica europea come Lotte Eisner: giornalista, storica, capo archivista della Cinémathèque française, amica e sostenitrice di registi come Fritz Lang e Werner Herzog.
Se, come tutti sanno, non c’è futuro senza passato, il lavoro di restauro, riedizione e diffusione di opere fondamentali, filmiche e non solo, rimane un ottimo strumento per smentire quell’incauta affermazione dei fratelli Lumière: Il cinema è un’invenzione senza futuro.