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New York Diaries – Quarta puntata

A Brooklyn senti le voci dei bambini che vivono in pieno l’aria che si rilassa dopo lo stress dei grattacieli.
Essere aria a New York è un duro mestiere, dover abbandonare così in fretta il cielo e avere tutti quegli specchi che ti riflettono il grigio che si appiccica addosso.

L’aria a New York ha poche possibilità di essere glamour.
Le Manolo Blahnik gliele ruba tutte Carrie.
L’aria a New York è radical-chic e se ne va anche lei a Brooklyn a vivere.
Con i capelli arruffati e la barba di qualche giorno. E l’immancabile Mac sotto l’ascella.

Attraverso anche io il ponte. Che è un po’ più grosso di quello che c’è sui pacchetti di chewing gum.
Ma conserva lo stesso fascino mitico.

Non a caso Sergio Leone ne ha fatto il simbolo visivo di c’era una volta in America. Non a caso c’era una volta in America fa parte della trilogia del tempo, cominciata con C’era una volta il West. Non un caso. East e West. Con in mezzo il Messico di Giù la testa.

Perchè per capire l’America devi cominciare dalla Monument Valley in Arizona, West, dove il vento assieme alla sabbia trasporta la storia dei coloni. La wilderness è la fatica con cui è nata l’idea del Brooklin Bridge e di tutto quello che gli sta intorno. La Tame.

L’America è una questione di tempo, il tempo dello sguardo e il tempo del percorso.
Non bisogna avere fretta. Perché il paesaggio è fatto apposta per scorrere lentamente.
Uno scorcio a passo. Non bisogna barare.
E così prima si vede Downtown. A destra andando verso Brooklyn.

E l’ordine della storia. Il muro, da cui il nome Wall street, delimitava il primo confine della città. Che all’epoca si chiamava New Amsterdam. E non per i locali a luci rosse. Almeno credo.
Dopo arriva tutto il resto.

E solo alla fine la statua della libertà. A presentare il tutto. Punto di arrivo. Punto di partenza.
A Brooklyn capisci subito di non essere più a Manhattan.
È un momento di pausa anche per me, per un attimo smetto di pensare a te, o per lo meno, smetto di pensare al fatto che non riesco a trovarti.

E allora continuo a camminare per Brooklin Heights, lasciandomi distrarre dai bambini che giocano nei giardini e dalle vie abbandonate da chi la giornata la passa dall’altra parte dell’East River.

Primo quartiere di New York a essere dichiarato di interesse storico. Quasi tutte le case qui sono le brownstones, che i finanzieri di Wall Street nel passato si sono fatti costruire per avere un attimo di pace dal saliescendi della borsa.
È forse la prima periferia dormitorio del Paese.
E si vede.
E si sente.

Ma è lo stesso piacevole passeggiare ad una certa distanza dai grattacieli.

Che comunque si fanno sentire. Manhattan non te la scrolli di dosso facilmente. La sognano anche a migliaia di miglia di distanza, figurati se riesci a scordartela a un tiro di ponte.

E allora ritorna la wilderness.
La sfida è nel parco. Central Park o Prospect Park?
I progettisti sono gli stessi, e secondo loro il secondo è migliore: ma è il secondo anche di tempo e di grandezza.
E si sa che quando si ha a che fare con autori che hanno fatto il botto con la prima opera c’è sempre poco da fidarsi nei loro giudizi sulla seconda.

Prospect Park merita. Manca dei grattacieli intorno, manca la quinta a costeggiarlo. Ma anche qui si corre. E forse anche qui qualcuno si è dichiarato.
Ma soprattutto c’è il Sailor and soldiers monument, arco trionfale che celebra la vittoria dell’esercito della union sui confederati, ma ancora di più incornicia perfettamente sullo sfondo l’Empire state building. Che ne esce maestoso, ma comunque un po’ più piccolo da come lo si vede dall’altra parte del ponte.

L’America è una questione di tempo e di sguardo.
Gregg Allman ormai sull’hammond tiene i kleenex per soffiarsi il naso.
E Coney Island è solo più un gioco rotto che le continue pezze rendono ancora più triste.
Rimane l’oceano. E ritorni tu.
Sulla spiaggia infinita di Brighton Beach.
Dove uno suona l’armonica e balla la sua musica che il vento gli tiene stretta al corpo.
Cosa vedi quando guardi l’oceano?
Vedi il mare o vedi te stesso?
Oppure vedi dove vorresti andare?
Io ci vedo te, forse perché sei il riflesso migliore di me.
O forse perché sei esattamente dove voglio arrivare.


Grazie


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