Never Rarely Sometimes Always
Il calvario di un adolescente in viaggio dalla Pennsylvania a New York per poter abortire.Un piccolo grande film, vincitore dell’Orso d’argento.
Vincitore dell’Orso d’argento all’ultima edizione del Festival di Berlino, Never Rarely Sometimes Always, diretto da Eliza Hittman, già nota per il trattenuto e bellissimo Beach Rats (2017), è un racconto sincero sull’essere donna in un’America ostile e misogina, sull’accettare qualcosa che la società stigmatizza senza mezzi termini e sul coraggio e l’audacia di chi lotta in silenzio contro le convenzioni. Quando la giovane Autumn (Sidney Flanigan) parla, ha la stessa espressione intensa che deve avere quando fa l’amore. La decisione è presa: abortirà. Ma avendo 17 anni e vivendo in Pennsylvania, non può farlo senza l’assenso dei genitori. I suoi occhi d’acciaio tremano leggeri mentre dentro di lei c’è una tempesta. In questa difficile scelta non può contare sull’aiuto di nessuno, se non su quello di Skylar (Talia Ryler), sua cugina e migliore amica, che lavora con lei in un supermercato. Le due, con pochi soldi nelle tasche affronteranno un viaggio verso New York, dove potrà abortire.
La mano è leggera, lo stile realistico senza istrionismi o distrazioni. La narrazione lascia che la storia si racconti da sola, una narrazione fatta di silenzi e urla interiori perché nella vita reale il trauma è nascosto. Una specie di contraltare, l’altro lato dello specchio di un film come Juno (2007) che affronta lo stesso tema con spensierati toni da commedia e dialoghi diretti e verbosi. Never Rarely Sometimes è la storia dell’amicizia tra due ragazze, Autumn e Skylar, in viaggio verso uno di quei pochi stati federali dove l’aborto non è reato e può essere fatto in autonomia. Commuove vederle così inseparabili nel calvario causato da un’assistenza sanitaria desolante, specialmente se si è donne e si appartiene ad un segmento della società lontano dal vertice. Il film è anche una discussione morale sul corpo della donna, corpo senza appartenenza, ma merce sotto gli ideali capitalistici e bigotti di un’America rurale che è il mondo intero. Corpo auto-lesionato, corpo sfruttato per la sopravvivenza nel rispetto di una logica dolorosa e reale. Se gli uomini abusano per natura, la donna può ricavarci da questa violenza un qualcosa per continuare a sperare nel buio e nel caos.
La regia metodica e precisa, fatta di inquadrature strette dalla lunga durata, obbliga lo spettatore a contemplare un mondo insignificante e senza senso così come i loro eroi. La ricerca visiva di Eliza Hittman è sottile, discreta e attenta ai dettagli. E’ come quelle gocce che ci colpiscono sulla fronte, agghiacciante nella loro regolarità. Sempre, sempre, sempre.