Ochkam a Testaccio, ovvero i Nessi di Bergonzoni
Dire le cose e dicendo crearle: a teatro con un teologo inglese
Chissà come sarebbe portare al Teatro Vittoria a vedere Nessi di Alessandro Bergonzoni uno di quegli antichi monaci scolastici che nel Medioevo duellavano a colpi di sillogismi aristotelici sull’esistenza degli universali. Per esempio il vecchio Guglielmo di Ockham, il quale sosteneva che le cose esistono solo in quanto nomi, flatus vocis, e che vanno eliminati dalla ricerca della conoscenza gli universali, cioè l’idea che le cose esistano indipendentemente dal nostro pensarle o conoscerle. Questa sua posizione gli creò parecchi grattacapi con l’Inquisizione ma gli permise di diventare l’eroe de Il nome della Rosa e di essere interpretato al cinema da Sean Connery, essendo Umberto Eco maggiormente dotato di senso dell’umorismo. Il nominalismo dà, il nominalismo toglie. Ecco, il buon frate Guglielmo che direbbe di Bergonzoni?
Passeggiando per Testaccio prima dello spettacolo, bisognerebbe informarlo di quello che sta andando a vedere, visto che tutti gli avventori del teatro gli apparirebbero maggiormente consapevoli e informati, essendo ormai «andare a vedere Bergonzoni» un’informazione sufficiente a spiegare il tipo di serata che passeranno. Ecco, per lo meno bisognerebbe dire a Guglielmo che Bergonzoni è un ragazzo che conosce poco il rasoio, inteso sia dal punto di vista tricologico che gnoseologico. Guglielmo saprà così essere tollerante verso questo disprezzo per lo strumento che egli usava per liberare i suoi sillogismi dagli inciampi superflui, dato che amava infatti ripetere: «Non moltiplicare gli elementi più del necessario».
Con francescana pazienza frate Guglielmo dovrà quindi sopportare un po’ troppe moltiplicazioni degli elementi, un po’ troppe parole che cambiano significato, un po’ di referenti inattesi mentre il capelluto e solitario interprete apparirà al diradarsi di una nube di fumo mettendo le mani in strani oggetti trasparenti, che il più aggiornato compagno come un umile Adso gli spiegherà trattarsi di incubatrici—e tanto basterà, visto che Guglielmo con il latino ci prende certo meglio di noi ex liceali distratti.
Siamo sicuri però che superata la diffidenza, il nostro compagno e maestro, uomo di sterminata cultura e fine umanismo, si godrà la serata diversa dal solito. Questo Bergonzoni sarà un poco matto, certo poco morigerato nelle parole e con quella pettinatura da guitto sicuramente non ha letto l’Organon e la Summa Theologiae, ma forse ci prende più di quel che ci potremmo aspettare. Già perché secoli di pensiero si affollano alle spalle di Guglielmo, precipitato una sera a Testaccio dal suo amato scriptorium, ma alla fine ancora ci si interroga intorno alle stesse questioni.
E Bergonzoni là sul palco, cosa sta facendo, se non dire le cose e dicendo crearle? Si trova il mondo, alla fine, dietro tutti quei salti mortali linguistici, il nostro, brutto uguale, un po’ più a gambe all’aria. Il significato è un gioco di relazioni pericolose, di combinazioni inattese e chi meglio di Bergonzoni, un piromane dei concetti, un dinamitardo della parola, può farlo emergere? Nomina nuda tenemus, si chiude così il romanzo ispirato a Frate Guglielmo. Bergonzoni aggiungerebbe: già che sono nudi, tanto vale farli accoppiare. Guglielmo sorride, sotto i baffi, ma sorride.
Teatro Vittoria, Roma – marzo 2015