La Kitsunè è una label indipendente francese che negli ultimi anni (dal 2002) ha prodotto tantissimi gruppi e artisti interessanti, soprattutto per quanto riguarda l’area elettronica. Si pensi agli Hot Chip, Hurts, Autokratz, La Roux, Foals, Cut Copy e anche Bloc Party e Wolfmother.
A questa decorosa lista, quest’anno, si aggiungono gli Is Tropical, trio londinese la cui formazione comprende Simon Milner (voce, synth, chitarra, basso), Gary Barber (synth, chitarra, basso), Dominic Apa (batteria).
Questi tre ragazzi hanno una passione chiara ed esplicita per l’elettronica e un amore per il synth-pop dei famosi, e nominati ripetutamente, anni ’80. La saturazione del genere, non porta certo interesse verso l’ennesimo gruppo che ripropone pedissequamente una copia rimodellata ma sfocata di quel periodo. Premettendo che l’innovazione, nel mondo dell’elettronica, le ritroviamo soprattutto sul versante future bass, e che quindi in questo disco non troverete nulla di rivoluzionario, gli Is Tropical riescono comunque a catturare l’attenzione.
La loro particolarità è di esplorare più sfaccettature dell’elettronica, da accenni di Garage-techno al lo-fi e naturalmente il synth-pop. E proprio il termine Pop è la chiave di questo disco: è la base dell’album e il gruppo riesce a semplificare il suono, a mantenere il livello melodico senza quasi mai scadere nel banale. Si potrebbe sintetizzare il tutto dicendo che gli Is Tropical riescono in modo fluido (e facendo attenzione alle sfumature) a far incontrare due decenni ovvero gli anni ’80 e gli anni ’00.
L’iniziale South Pacific conferma queste impressioni, e dopo un inizio vagamente smithiano prende totalmente un altra direzione, risultando un delizioso elettropop dal sapore nostalgico. Synth spigolosi introducono Land of Nod, tra i pezzi migliori dell’album, che assume un tono danzereccio, in stile Foals. Il ritmo aumenta con Lies, (brano figlio dei Daft Punk) e con The Greeks, dove è presente (anche se in maniera attenuata) la componente Garage-techno, che ricorda molto lo stile degli Autokratz più selvaggi; anche se il pezzo guadagna soprattutto nelle decelerazioni (lo stesso discorso vale per un pezzo come Clouds).
Sulla stessa linea, ma condita da un pizzico di lo-fi (che si ritroverà in maniera più invadente in Oranges), si mantiene la successiva What???, che tutto sommato non convince per l’eccessiva semplificazione della struttura dell’arrangiamento. I’ll Take my Chances è un altro pezzo chiave dell’album perché racchiude tutto il discorso sugli Is Tropical fatto all’inizio, soprattutto per quanto concerne la linea melodica.
L’ombra dei New Order si affaccia in Berlin, molto debole nel ritornello e decisamente più interessante nei rallentamenti rumoristici e quasi minimal. Va meglio con I Think We’re Alone caratterizzata da una batteria pulsante in stile new wave, chitarre arrembanti e un cantato che risulta più malinconico del solito. Zombies ricorda in qualche modo alcuni pezzi di Fad Gadget, ma il suono è più corposo e meno ombroso. E anche la finale Seasick Mutiny, quasi tutta strumentale, non si discosta molto dalle sonorità di Zombies se non fosse per la potenza ritmica che ricorda molto quella dei Klaxsons.
Un buon debutto quello degli Is Tropical, senza troppo entusiasmo, che hanno dimostrato di poter giocare su varie sfaccettare: i problemi più grandi a mio parere si ritrovano nei ritornelli (in alcuni casi troppo piatti), mentre nelle strofe e in genere nelle parti strumentali hanno dimostrato una discreta duttilità. Se provassero a destrutturare maggiormente le loro composizioni (come ad esempio nel pezzo finale), mantenendo la linea modulata che li caratterizza, potrebbe venir fuori un buon secondo album.