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Multa all’arte

Il prezzo della responsabilità accende 'Verso Sud'

In Puglia buona parte delle stagioni teatrali sono pronte ad aprire i propri battenti o hanno già cominciato il proprio corso; ma prima – o durante – questo nuovo avvio c’è ancora spazio per qualche piccola sorpresa festivaliera, uno degli ultimi colpi di coda volti a valorizzare il binomio territorio/arte, prima di rinchiuderci definitivamente nell’edificio teatrale. Stiamo parlando di Verso Sud, festival organizzato a Corato dall’associazione Lavorare Stanca che ha pubblicizzato la seconda edizione della rassegna con un espediente alquanto originale: posizionare false multe su centinaia di parabrezza in sosta tra Bari e Barletta.

Ovviamente nel corpo della multa non c’è nessun conto salato da pagare, ma dei versi di Claudia Fabris sull’abbandono, tema della rassegna e parola che recupera il suo antico significato proveniente dal francese medievale: à ban doner – mettere a disposizione di chiunque. E in questo caso è l’arte, in svariate forme, a esser messa a totale disposizione con più di 50 artisti e 30 appuntamenti gratuiti disseminati nel centro storico coratino. Dal jazz di Caterina Palazzi alla street art dell’argentino Hyuro, dalle poesie ristorative di Claudia Fabris alle installazioni di Edoardo Tresoldi: sono cinque ricche giornate in cui il piacere della scoperta e il dialogo tra culture e stili differenti diventano incessanti.

Di sicuro una delle note positive è fornita dal cospicuo numero di spettatori che ha partecipato ai diversi eventi in programma. Fattore, questo, non di poco conto, specie nei paesi della provincia barese, dove per trovare una simile affluenza bisogna attendere sagre e feste patronali in cui le amministrazioni comunali scelgono spesso e volentieri di sperperare ingenti somme di denaro per artisti a fine carriera o di dubbio valore artistico pur di “richiamare” gente. A volte si potrebbe fare più economia e puntare maggiormente sulla qualità. E qui ne abbiamo un mirabile esempio.

Il teatro non poteva certamente mancare in questa festa dell’arte e, anzi, ha avuto un certo peso specifico con tre spettacoli accomunati dalla forma – il monologo – e l’intento: raccontare il Sud partendo dalla tradizione. Storie di Sicilia, Puglia e Calabria si sono dunque avvicendate in questo mini-ciclo conclusosi con Saverio La Ruina e il suo Dissonorata, spettacolo che valse all’attore calabrese due premi Ubu nel 2007.

Giuseppe Semeraro (Principio Attivo) ha aperto questa serie di spettacoli con Digiunando davanti al mare (regia Fabrizio Saccomanno, drammaturgia Francesco Niccolini), un racconto su Danilo Dolci che accantona parzialmente la sua figura di poeta per concentrarsi sull’Uomo alle prese con il suo impegno civile in un’arida Sicilia pervasa dal disagio di una popolazione domata da immobilismo e rassegnazione. Lo strumento per coinvolgere la sua gente è quella maieutica che andrà a predicare nelle scuole, ossia l’interrogarsi reciproco per ricercare, decidere, imparare, pensare e costruire insieme.

Le battaglie in tribunale, lo “sciopero alla rovescia” dei disoccupati, la costruzione di una diga: Semeraro ricostruisce stralci di storia sdoppiandosi in maniera coinvolgente tra la saggezza e la compostezza di Dolci e l’impulsività primitiva di “Zi’ Ambrogi”, amico fidato che senza la figura dell’intellettuale al proprio fianco probabilmente avrebbe passato la sua esistenza entrando e uscendo dal carcere. All’attore salentino, dunque, basta un cambio di postura e un accento differente per dare vita a due personaggi che raccontano una società di vinti con il coraggio, però, di cambiare la propria mentalità e quella collettiva; ma anche una storia tutt’altro che risolta, specie nel nostro precario Meridione.

Dalla Sicilia si passa alla Puglia con Skàuschê di Roberto Corradino, una storia che ruota attorno allo scandalo della “tratta dei calzoni corti”, il mercato secolare di affitto e compravendita di ragazzini condannati a fare i pastori sulla Murgia. Tra questi c’è Jangēlìnē, strappato dalla sua casa famigliare in tenera età e costretto a passare il resto della sua esistenza nella monotonia totale. Un ritmo vitale che diventa una triste lamento, simile alla filastrocca/sentenza che gli riservano i coetanei del suo paese: «Sì mamàunê e sì pastàurê, sì la skàuschê dê la ggèndê» (sei stupido e pastore, per la gente non sei niente).

Tramite una buona dose di improvvisazione e digressioni, Corradino si fa regista e sceneggiatore di un film su una Murgia spesso dimenticata, come dimenticato è il linguaggio utilizzato, quel dialetto scevro da ogni “italianizzazione” e riportato al suo antico splendore arcaico. Un teatro non di tradizione ma sulla tradizione che la musicalità della parola rende accessibile a chiunque, volendo anche a “spettatori di Settimo Torinese”, ma che, purtroppo, rimane relegato nei confini pugliesi quando, a mio avviso, potrebbe essere valorizzato meglio fuori dal proprio contesto di appartenenza, in cui latitano esempi provenienti dalla Puglia di questo teatro volto a recuperare costumi e sfumature ignorate da molti.

Un festival che ha dunque stimolato la partecipazione attiva grazie alle tante e interessanti proposte presenti nel suo programma. Una sfida vinta, considerando anche la recente annessione al progetto #InPuglia365 che a inizio dicembre coinvolgerà sette borghi della Puglia Imperiale con aperture straordinarie e visite guidate gratuite di chiese, palazzi storici, musei e corti. Verso Sud, quindi, tornerà dal 2 al 4 dicembre con installazioni, concerti, street art e reading. Il buon lavoro a volte paga.

(Foto ©Giuseppe Olivieri, Marco Volpe)

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