Monte – Amir Naderi
«Chi sogna può spostare le montagne», afferma Fitzcarraldo nel celebre film di Werner Herzog. Ancora più folle del suo desiderio di costruire un teatro nel mezzo della foresta amazzonica, è lo scopo che si prefigge il protagonista di Monte di Amir Naderi, presentato fuori concorso a Venezia.
Tardo Medioevo, in una non precisata regione del Nord Italia, Agostino vive insieme alla sua famiglia alle pendici di un imponente massiccio montuoso. La roccia impedisce alla luce di raggiungere il terreno coltivato dall’uomo, costringendo la famiglia a vivere nella miseria. Il resto del villaggio consiglia ad Agostino di lasciare quella terra arida e maledetta, ma lui non è disposto ad abbandonare il posto nel mondo che il destino gli ha riservato. Sempre più provato dai lutti e dagli stenti si impegna in un'impresa folle e titanica, ossessionato dall’idea di sconfiggere il suo nemico di roccia a colpi di piccone.
Se in Herzog la sfida è concepita sempre come limite da superare, per Naderi ogni sfida è prima di ogni cosa un vincolo da sciogliere, una potenza da abbattere, una imposizione da ricusare. Nella genesi della sua idea di cinema, rabbiosa e militante, ha giocato un ruolo decisivo il controverso rapporto con il suo Iran, abbandonato per scelta volontaria da ormai molti anni. Da tempo quindi Naderi è costretto a coltivare un rapporto a distanza con la sua terra, mentre persegue senza sosta un coerente percorso artistico in giro per il pianeta da apolide della settima arte.
Il legame inscindibile con la terra, matrigna crudele che inghiottisce uno ad uno i membri della sua famiglia, è il presupposto della sfida di Agostino: abbattere il monte soltanto con la forza delle sue mani e la furia del suo urlo. Nel complesso meno memorabile del precedente Cut (2011), dopo una prima parte introduttiva che fatica a raggiungere la giusta intensità, si riscatta nella visionaria ferocia degli ultimi 30 minuti, un crescendo di grande potenza espressiva che è sintesi perfetta di tutto il cinema del cineasta iraniano. L’urlo di battaglia di Agostino è lo stesso del piccolo protagonista di The Runner (1989) e, come in tutti i film di Naderi, la libertà è un bene che si conquista a caro prezzo. «Per rendere possibile qualcosa in qualsiasi tempo bisogna essere pronti a credere, avere pazienza e pagare con il proprio cuore», ha dichiarato il regista. Mai rinunciare, finché non si giunga alla meta. Perché?
Perché questo è il dono concesso all’essere umano: la sfida.