Noah Baumbach è già tornato, e questa volta è arrivato persino a splendere. Il suo penultimo film Giovani si diventa - il confronto generazionale tra due coppie, tra quarantenni e ventenni - non aveva convinto del tutto ed era rimasto imprigionato nell'etichetta di commedia hipster; con Mistress America invece il regista dimostra di saper raccontare le dinamiche tra individui con freschezza e originalità, arrivando a scavare a fondo, dando solo l'impressione di fermarsi alla superficie delle cose.
Ritorna il confronto, ma questa volta è tra due giovani donne, fra Tracy (Lola Kirke, vista in Girls) diciottenne appena arrivata a New York per il primo anno di college dove studia letteratura e Brooke (Greta Gerwig), trentenne che riesce a essere arredatrice di interni, fidanzata di ampie vedute, allenatrice di spinning e insegnante privata che progetta di aprire un ristorante in cui ci si possa anche tagliare i capelli. I loro genitori si stanno per sposare e quando Tracy in preda ad un attacco di solitudine chiama Brooke non succede quello che solitamente accade nella vita: nessuna telefonata distaccata, nessun ci aggiorniamo per un caffè e poi un tacito accordo che prevede il silenzio.
«Hai mangiato? Ci vediamo? Sai dov'è Times Square?» così il ciclone di egocentrismo e vitalità di nome Brooke sconvolge Tracy. Tutte e due sanno esattamente cosa vogliono dalla vita, ma Mistress America mostra come i progetti dei vent'anni non sono quelli dei trenta, come le aspettative crescono e si modificano anche in base alle batoste e ai fallimenti.
Dopo Frances Ha ecco la felicissima riconferma di Greta Gerwig; attrice che riesce a fare un lavoro meraviglioso sul fascino impacciato, e soprattutto co-autrice tagliente e vulcanica. Anche Mistress America infatti è scritto a quattro mani, i dialoghi sono a dir poco serrati, qui e lì tra la parlantina di Brooke e le curiosità irrisolte di Tracy si trovano incastonate delle piccole verità che però scorrono via veloci, senza risultare ammiccanti perle di saggezza.
Nella seconda parte il film guarda alla screwball comedy, le protagoniste accompagnate da due compagni di Tracy vanno nel Connecticut per aiutare Brooke a chiedere un finanziamento a degli amici, ma mentre si ride dei gruppi di lettura per donne incinte che analizzano Faulkner subentra qualcosa molto simile alla consapevolezza. Arriva la conferma che a volte si può stimare e voler bene ad una persona, ma al tempo stesso criticarla duramente, vedere in lei tutto quello che non vorremo diventare: è questo più o meno quello che succede fra Tracy e Brooke, nel loro rapporto allieva-maestra di vita che si incrina.
Noah Baumbach ambienta la sua storia in contesti esteticamente impeccabili, dà forma a quell'America e a quella New York che ci si augura davvero sia così bella. Racconta le persone in modo sfuggente, senza impuntarsi sulla coerenza, ed è per questo che a volte i suoi personaggi sono molto più veri di altri. Fragili ma infrangibili.