Il ventre cavo della guerra
Giuliana Musso dà voce al dolore delle madri
Nei primi dieci giorni del Muharram – il primo mese del calendario islamico e uno dei quattro sacri per l’Islam – gli Sciiti celebrano un rito molto particolare per commemorare la morte di Husayn, figlio di Fatima e nipote di Maometto. Le donne si radunano in Moschea e, mentre l’Imam recita la storia legata al martirio di Husayn, piangono e pregano singhiozzando. Ognuna di loro è la madre piangente e addolorata del martire che si dispera per la morte del figlio. Un rito sopravvissuto nei secoli che ha radici molto più antiche dell’Islam e ha come protagonista la Dea Madre. Simbolo di stabilità, certezza e solidità, antepone le scelte della Natura – come la morte del figlio – alle proprie, per accelerare il processo di rinascita e nuova vita. Lo spettacolo di Giuliana Musso – Mio Eroe – torna a parlarci in maniera laica e distaccata del culto della Dea Madre.
Madri sono le tre protagoniste dello spettacolo, tre donne senza più un figlio, sacrificato per la patria in una guerra lontana, che da 16 anni continua a mietere vittime: l’Afghanistan. Il cimitero dell’Impero, così viene chiamato, il paese dove negli anni ‘60 gli hippy andavano a ritrovare se stessi verso la via dell’Oriente e dove oggi la fine della guerra iniziata nel 2001 sembra essere ancora lontana.
Giuliana Musso spoglia la morte in guerra di ogni retorica e concentra il suo lavoro sul dolore e sull’incapacità di accettare l’innaturalità della morte di un figlio. Nascono in questa maniera tre monologhi costruiti sullo schema tradizionale del teatro di narrazione: scena, racconto e rapporto con il pubblico. Le tre donne differenti tra loro, per provenienza e carattere vengono unite da una drammaturgia del dolore che si identifica in racconti di storie di vita quotidiana, prima e dopo la scomparsa del figlio.
In scena è raffigurato una sorta di altare del dolore dove non c’è posto per la commemorazione retorica e le medaglie. Dal trauma per la perdita del figlio le tre donne elaborano un discorso etico e critico nei confronti dell’assurdità della guerra. Le loro parole arrivano a svelare la cruda verità sui conflitti contemporanei, smascherando i potenti che li hanno originati. Gridano «Il re è nudo!» queste tre donne, ma non lo fanno con l’innocente ingenuità del bambino della favola di Andersen, ma con la rabbia e la forza di una Dea Madre che vuole cercare di fermare uno degli atti più innaturali del genere umano: la guerra.