Midsommar – Il villaggio dei dannati
Dopo il successo di Hereditary, torna Ari Aster con un horror tutto superficie e niente sotto testo.
Nonostante solo due film all’attivo, è innegabile il talento di Ari Aster nella composizione delle inquadrature, la gestione degli spazi e delle scenografie e ammirabile la capacità di modulare immagini e suoni per realizzare singolari e spiazzanti cambi di registro. Tuttavia il nuovo Midsommar ci conferma che il suo è un talento principalmente estetico. Con una narrazione che ondeggia stanca e debole verso la sua inevitabile conclusione, Aster è intrappolato una storia troppo familiare e prevedibile per riuscire a creare quel senso di terrore e tensione che le raffinatissime immagini vorrebbero evocare. Un puzzle irrisolvibile che inizialmente confonde lo spettatore e infine lo snerva completamente.
Dani (Florence Pugh), una giovane ragazza americana, è vittima di una tragedia familiare da cui non riesce ad andare avanti. Christian (Jack Reynor), il suo ragazzo, le propone di unirsi insieme ai suoi amici e colleghi antropologi in un viaggio in Svezia. L’intento è quello di partecipare ad un Festival hippie di nove giorni a celebrazione del solstizio d’estate. Arrivati nella soleggiata Hårga le loro aspettative saranno subito ribaltate. Invece di relax, sesso e droghe i giovano turisti dovranno fare i conti con la sinistra comunità del luogo, i loro rituali liturgici e le loro follie.
Siamo nelle derive Euroxploitation, precisamente in una versione d’essay di Hostel o Cannibal Holocaust, con occidentali distaccati e superficiali che invadono una civiltà diversa dalla loro che sarà costretta a manifestarsi nei modi più terribile. Tutto è stato già fatto prima e con risultati migliori, le metafore religiose, le geometrie oblique e le dissonanze crepuscolari non servono alla riuscita della pellicola. Infatti, quando si cerca di spostarsi dall’ovvio, il film crolla completamente tra autoreferenziali echi ad Hereditary, banali inganni narrativi e slegate soluzioni macabre degne del peggior Lars Von Trier. E’ come, seduti sulla poltrona di casa, addormentarsi durante un teen movie e svegliarsi nel bel mezzo di The Wicker Man. Uno zapping più che una svolta narrativa.
Midsommar è come tagliato in due sezioni. Da una parte film lunatico, atonale, dove un antico culto invade lentamente i visitatori che sta ospitando, e dall’ altra il racconto di Dani in lotta con i propri demoni. Il guaio è che il primo il film prende l’intero palcoscenico, ma il regista dipende dal secondo per riuscire emotivamente ed artisticamente. Il risultato sono oltre due ore di acrobazie visive vuote e autoindulgenti, simbolismi senza significato e il distacco totale con chi è dall’altro lato dello schermo. L’augurio è che lo stile di Ari Aster possa esprimersi al meglio con lo storie lontane dal genere horror con il quale non sembra avere più niente da dire.