La canadese Leslie Feist ha colpito ancora! Quattro anni sono passati dal fortunatissimo The Reminder e quattro è il numero di album pubblicati dalla cantautrice trentacinquenne. Tredici canzoni si susseguono lentamente una dopo l’altra, no time, no space, una narrazione basata più sulle sensazioni che sulle parole. Suoni incastonati in conchiglie, come fossero perle sepolte sul fondale marino. Un voce di miele come di sirena, un gorgheggio, i toni si schiudono celermente sopra la stessa sillaba: la seduzione comincia proprio dal canto. Alla maniera di una protodivinità degli abissi chiama a sé gli uomini, trasportati da un desiderio inconsapevole, fuggiaschi del νόστος, dimentichi di ogni altra cosa. È una tentazione troppo forte per non abbandonarvisi, è un disco caldo, in grado di assecondare anche i silenzi di cui spesso si necessita.
Il 18 ottobre si è esibita al Later with Jools Holland, celeberrimo programma musicale che va in onda sulla BBC, e se già l’album in studio uscito il 4 ottobre era un gioiellino, questa jam session è un concentrato di potenza e insieme di delicatezza. Accompagnata da tre coriste, cinque fiati, batteria, percussioni, tastiere e lei stessa alla chitarra, la prima traccia è The Bad in Each Other. Il testo è più che altro una massima comportamentale, una lezione di filosofia, un ammonimento a ciò che di sovente accade in amore, un vortice di pensieri ripetuti tra sospiri, tra note alte e basse in un tessuto fatto di tamburi pesanti e di trilli argentini.
Sempre di questo live è la performance di How Come You Never Go There, primo singolo estratto il 12 agosto. Qui gli affetti non vengono più raccontati, Feist è uno step avanti. E’ più la colonna sonora di un film a parlarci di quello che lei ha scritto. Probabilmente, tra tutte, questa è ancora la canzone meno evocativa, la più pop, concedetemi il termine, ma sicuramente diversissima dai singoli che aveva lanciato nei precedenti album. Caught A Long Wind potrebbe essere tranquillamente definita ambient, nascosta nella tracklist de Il giardino delle vergini suicide insieme agli Air. Qui musica e scrittura si amalgamano. Little Bird, Have You Got A Key? Unlock the Lock Inside of Me Where Will You Go to Keep Yourself Afloat. Mi immagino Feist a testa in su in una foresta pluviale tra colibrì e pappagalli. Immersa nella natura come poteva essere una giovane Nelly Furtado nel video di I’m Like a Bird. Magari togliendo quegli orecchini da zingare del deserto che danzano con candelabri in testa, evitando i jeans a zampa d’elefante e i quindici centimetri di pancia scoperta. Meno anni ’90, ecco, più sobria nel vestire.
Una storia finita male? Ancora rancore, ancora oppressione, ancora amore. The Grudge Has Still Got You Heart. Urla che precedono i battiti del cuore, arpeggi e modulazioni che si intersecano in un paradiso di fiamme. La canadese ci sa fare, con questa A Commotion tira fuori una voce profonda e limpida. Dita che picchiano con ostinazione la tastiera, dita che picchiano con ostinazione le tempie. Abbaiare e sussurrare allo stesso istante. E se non sono riuscita a darvi un’idea ben precisa di come Feist canti questa traccia, perdonatemi, la mia percezione, però, è proprio questa. Un sussulto di spavento, una finestra sul cortile, una lacrima che scorre lentissima sul viso, un’emozione senza nome.
Parrebbe impossibile pensare che il suo canto diventi strumento (perché è così che accade in quasi tutto il disco), alternandosi perfettamente alla musica. In The Circle Married the Line questo gioco vocale è reso dalla recitazione di First Light Was. Last Light Was. Alright When. E’ il vibrato di un violino, o perlomeno lo sembrerebbe. Ma è lei, ancora e sempre lei. Tema indiscusso è l’amore. Lo ritroviamo qui, come in quasi tutte le altre canzoni. Non è un amore specifico, ogni tanto c’è un lui, ma altre volte oggetti e natura si confondono in una sorta di ricerca della pace. Il sentimento è più per se stessi, per esaltare un modo di riflettere, un modo di concepire l’esistenza. Luce e linee si attorcigliano, si trasformano nel cerchio della vita. Queste sono le parole di una persona che dopo la sofferenza ha veramente capito perché è in questo universo.
Bittersweet, uno dei lemmi più abusati nella storia della musica. Bittersweet sono anche le melodie di Feist, niente a che fare con la sinfonia dei The Verve. Più pacata, non cammina veloce e non dà spallate ai passanti. Ancora live al Later with Jools Holland mi avrebbe sicuramente commosso fossi stata presente in platea. I ricordi agrodolci sono lì sospesi in una dimensione a sé stante, sono il passato, ma continuano a tornare alla mente come un presente che non vuole andarsene, che non si arrende all’evidenza di essere veramente passato. Qui la cucina, in altre track la camera da letto o il soggiorno, quel senso di famiglia, quell’intimità più profonda in ognuno di noi che è la casa, un piccolo nascondiglio dai turbamenti del mondo, Leslie descrive anche questo e lo fa con una parola. Tutto il resto è immaginazione.
Folk è decisamente Anti-Pioneer, da film western americano. Malinconica come potrebbe essere una canzone blues. Colori, bandiere, lingue, nazionalità diverse: sembra che qualcosa sia andato storto, un futuro diverso da come ce lo si aspettava, forse un buco nell’acqua. Ed è ora di tornare a casa. Staticità e rassegnazione. Il finale è aperto, ripartendo da zero, sconfitta o rivincita?
Bonus track dell’album è, invece, Pine Moon, tinte spettrali, riverberi e ombre sospette. Avete presente Balla coi lupi? Una musica adattissima a descrivere le immagini del film. Gelidi torrenti di montagna in cui intingere timidamente i piedi, profondi laghi oscuri, lui che evapora e se ne va: magari non era che un sogno. Onirico, infatti, è l’aggettivo appropriato per questo suggestivo brano. Get It Wrong, Get It Right è il pezzo giusto per addormentarsi, una vera e propria ninna nanna. Così come lo è d’altronde Comfort Me, escludendo il minuto finale di batteria impazzita, unita agli acuti della cantante che si perdono in un nananinnana infinito. Un po’ anonima rimane Cicadas & Gulls, mentre la montagna e il tema dell’arrampicarsi, in senso lato ovviamente, è presente in Undiscovered First. Da brava canadese non smentisce le sue origini, l’amore per la natura continua a mescolarsi con ciò che è più intimo e percettivo.
Ho lasciato per ultima quella che è la vera rarità dell’album, Graveyard. Ossia il cimitero, nulla di allegro per intenderci. Un testo intenso, parole che bucano i drappi dell’anima. Un saliscendi di trambusti emotivi. Cori e voce principale si fondono, non si distinguono più. La bellezza di una melodia suonata al piano. Un’opera mesta e potente. E dico opera e ci tengo a sottolinearlo, perché solo con quest’elemento si è guadagnata un posto nell’Olimpo musicale. E sempre rifacendoci alla grecità, questa canzone è solenne come il coro in una tragedia. Feist nella parte del corifeo, affiancata da tre coreuti.
Non lasciatevi scappare un tale ascolto. I momenti tristi vengono cullati e anestetizzati, quelli felici si disperdono nell’aria della sera in un ritmo quieto.