A Santarcangelo dei teatri, capita di imbattersi in spettacoli che incarnano perfettamente lo spirito del Festival. È proprio il caso di MDLSX, il nuovo lavoro dei Motus presentato qui in prima assoluta. Guardare non è un atto innocente (come recita il motivo di questa 45^ edizione), quindi, perché MDLSX porta in scena lo «scandalo» di un corpo che osa farsi altro, nell’anelito a trascendere i confini del gender; MDLSX si fa contenitore ibrido che esplora ciò che si nasconde dietro le etichette, invita a liberarsi dalla loro tirannia e a svuotarle di significato; si fa riflessione sulla sessualità, su cosa vuol dire essere etero, omo, trans, transgender, e si avvale per questo di un sostrato critico di autrici che alimentano il dibattito sulla Queer theory quali J. Butler, D. Haraway, B. Preciado. Ma MDLSX è, soprattutto, lo spazio dove Silvia Calderoni si racconta e dove non è mai stata così esposta.
La volontà di superare i limiti imposti dalle definizioni si traduce a livello formale in uno spettacolo che è insieme performance, teatro, djset. Silvia Calderoni domina il palco come fosse – e lo è – il suo territorio naturale. Con l’ausilio di uno smartphone si filma e proietta la sua immagine su uno schermo circolare in fondo al palco, studia il suo volto ravvicinato, come anche il suo corpo; gioca con esso, si cambia di abiti e balla – convulsa, selvaggia, magnetica – accompagnata dalle note della sua playlist personale che fa partire da un pc; con un piccolo mixer distorce i suoni e crea l’atmosfera con luci a led.
Ed ecco che inizia a confessare al pubblico la sua emozionante storia personale, supportata da filmini privati proiettati dietro di lei che evocano lo spettro degli anni ’80 e che raccontano della sua infanzia, del rapporto con la famiglia, di un’adolescenza vissuta ai margini. Ma Cal non è solo il diminutivo di Cal(deroni), è anche Calliope, il protagonista ermafrodita di Middlesex di J. Eugenides, il quale decide di vivere come un uomo nonostante le fattezze di donna. Le parole del romanzo si mescolano così a quelle della performer, creando un cortocircuito drammaturgico tra finzione e biografia dove le due storie si sovrappongono, diventando frammenti di un unico puzzle perfettamente combacianti.
Silvia Calderoni usa quindi tutto ciò che è in suo possesso per andare oltre i limiti imposti: che siano essi del palco, della parola o della sessualità, lo strumento più potente a disposizione è proprio il corpo mostrato più volte nella sua nudità quasi irreale – come se provenisse da un’altra dimensione –, che grida alla rinuncia di qualsiasi categorizzazione sessuale. Allora travalicare i confini del genere diventa anche un atto di ribellione: se Michel Foucault nella Storia della sessualità affermava che assumere un’identità sessuata precisa fosse una forma di controllo sui corpi da parte del potere, allora vuol dire che Cal, come e con Calliope, rifiutando qualsiasi obbligo sessuale, si pone come outsider e osa destare lo scandalo di un percorso interiore non ascrivibile alla norma, uno scandalo gridato a piena voce da chi invece non è in grado di uscire dai ranghi della normalità.
MDLSX apre un discorso che trascende la sfera sessuale per aprire a interrogativi più ampi: cosa vuol dire essere bianchi, o neri? appartenere a una realtà storicamente determinata? cosa vuol dire essere emarginato in una società che ti considera come un «Mostro» perché non sa classificarti? Le definizioni si rivelano insomma strette, soffocanti, poiché siamo tutti costituiti da different halves (come suggeriscono i sottotitoli in inglese sullo schermo): come il nostro corpo è tenuto insieme da un equilibrio fragilissimo tra ormoni maschili e femminili, così la nostra interiorità contiene dentro di sé tutte le definizioni e il loro contrario. La consapevolezza di essere uno si rivela illusoria.
Si rimane pietrificati in questo spettacolo, non da Medusa, bensì da una sirena: è questa l’ultima immagine offerta da Silvia Calderoni, quella di una creatura mitologica il cui richiamo insidioso ci segue anche fuori dalla sala. Usciamo infatti un po’ smarriti, interdetti, con la necessità di riflettere su quanto appena visto. Com’è possibile che esista questa realtà, in penombra, in cui il tempo del pensiero dilata quello cronologico; e poi ci sia quest’altra, alla luce del tramonto, dove le persone camminano, guardano i banchetti del mercatino del sabato, come se niente fosse?
Chi eravamo prima di entrare a teatro, un’ora e mezzo fa?
Forse, un po’, siamo cambiati.
Ascolto consigliato
Teatrino della Collegiata, Santarcangelo di Romagna – 18 luglio 2015