Ma perché ci amiamo?
Con Iacozzilli e Tomasulo ‘Da soli non si è cattivi’: lo si diventa insieme
Siamo un po’ ridicoli noi esseri umani. Goffi, buffi, contraddittori, vili a volte, insinceri. E per fortuna, verrebbe da aggiungere. Tutto sta, più che altro, a rendercene conto—e ad ammetterlo. Qui, però, ecco, le cose già si fanno più complicate.
Sì, perché da quando ci siamo fatti mirabilmente democratici lo spauracchio della discriminazione attende sempre dietro l’angolo. E allora è tutto una rettifica all’ipocrisia, pardon, all’edulcorazione, pardon, al rispetto. La chiamano «PC»: political correctness. Hai un cattivo sentimento? Sedalo. Ribbattezzalo. Oppure gonfialo selvaggiamente, ché nel mercato delle vacche della politica, dello spettacolo e del marketing (il che poi fa lo stesso) può raccattare un po’ d’attenzione.
Niente. Non ce la facciamo. Non sappiamo più rivolgerci a noi stessi. «L’altro», la sua considerazione, il suo giudizio, la sua approvazione sono la principale causa e fine delle nostre azioni. Ed è proprio all’interno di questa fondamentale riflessione che si incunea la nuova creazione della regista romana Fabiana Iacozzilli. Non a caso il titola recita Da soli non si è cattivi. Perché da soli non ci sappiamo più stare, e l’amore – che pur dovrebbe essere il più nobile e sincero dei sentimenti – si è ridotto a esercizio di potere.
Tre storie (di mezzora circa ciascuna)—tre coppie: osmotiche, mancate, claustrofobiche. I personaggi nati dalla penna di Tiziana Tomasulo (suoi i racconti e la trasposizione drammaturgica) sono degli adorabili miserabili: non ce la fanno proprio ad ascoltarsi, temono l’altro, lo ostacolano o quanto meno lo allontanano, perché potrebbe oscurare ciò che già sono, eppure ne hanno un forsennato bisogno per esistere: senza—la loro vita non avrebbe senso. È un gioco di sopraffazione quello portato in scena dal nutrito, ben assortito, preciso e spassoso cast di attori della compagnia Lafabbrica (produttrice insieme al Vascello).
Scenari posticci simil IKEA, vuoti da sottoscala in stile Hopper, trappole asfissianti costrette in pochi metri quadri domestici (scene Fiammetta Mandich). I non-luoghi di Da soli non si è cattivi costringono allo scontro, come se l’eco di fondo del mondo incalzasse all’amore, all’armonia, alla perfezione patinata che, nonostante il progressivo disfacimento della post-globalizzazione, la cultura di massa continua a rigurgitare nelle nostre piccole esistenze. E proprio in questa crisi ecco che l’individuo, pian piano, nel collasso, comincia a (ritornare a) interrogarsi su sé stesso—perché l’altro, lì, di fronte a noi, dovrebbe portarci innanzitutto a mettere in discussione noi. Non lui. Non lei. Noi.
Se nella precedente Trilogia dell’attesa Fabiana Iacozzilli ereditava la lezione di Beckett mostrandoci creature fragili, bambinesche, in perenne (frustrata) attesa di un qualcuno che li sollevasse dalla propria palude esistenziale, ora la regista fa un passo avanti nello scandaglio dell’umano: le possibili autorità che ci legittimino non esistono. Più. L’altro è già qui. E non è un granché.
Venuto meno il vertice ci si cala nel presente per il presente—il futuro non è neanche più considerato, pure il passato si fa alquanto marginale. Sono creature senza storia. La loro partita si gioca tutta ora. Ma ogni giorno è massacro. Con l’altro. L’altro ormai è onnipresente. E dobbiamo rifarci sempre a lui. Non se ne esce.
Se da un lato Iacozzilli rischia di rimanere vincolata a una sensibilità particolarmente novecentesca (saturazioni, trappole, scacchi esistenziali) che fatica a scartarsi dalla tentazione della (pur riuscita) reiterazione ad libitum, è vero altresì che il suo teatro si smarca dall’inseguimento pedissequo del nostro tempo, senza appoggiarsi a segni pop, facili immaginari, trite retoriche sociologiche, toccando per vie ben più fantasiose una contemporaneità che appartiene a ogni tempo: quella dell’uomo, non in quanto homo modernus ma in quanto essere umano, perenne vittima – diecimila anni fa come oggi – delle sue fragilità.
Nel suo ricco intreccio di brillante ironia, umorismo nero e impietoso cinismo, Da soli non si è cattivi ci ricorda l’importanza dell’astrazione, della creatività, dello slancio immaginifico nell’arte. E meriterebbe cura. E attenzione. Anche se è fuori dagli under35, dai festival, dai soliti nomi. Altrimenti, poi, non chiediamoci perché ultimamente sembra di vedere sempre lo stesso spettacolo.
Ascolto consigliato
Teatro Vascello, Roma – 23 maggio 2017
DA SOLI NON SI È CATTIVI
dedicato a Matteo Latino
di Tiziana Tomasulo
regia Fabiana Iacozzilli
con Simone Barraco, Francesca Farcomeni, Francesco Meloni, Marta Meneghetti, Ramona Nardò, Francesco Zecca
aiuto regia Francesco Meloni
assistenti alla regia Federico Spinelli, Silvia Corona, Gianmarco Vettori, Francesca Sansone
scene Fiammetta Mandich
costumi Gian Maria Sposito, Davide Zanotti
trucco Simona Ruggeri, Laura Alessandri
disegno luci Davood Kheradmand
collaborazione artistica Riccardo Morucci, Alberto Bellandi, Giada Parlanti
produzione Lafabbrica e La Fabbrica dell’Attore – Teatro Vascello
in collaborazione con Centro Artistico Internazionale Il Girasole, Associazione Ex lavanderia, Centro Internazionale La Cometa, Sycamore T Company
con il sostegno di Kollatino Underground, Teatro Biblioteca Quarticciolo e Clossa Lab