Loving Vincent
Un film dipinto frame by frame che ricostruisce la vita di Van Gogh
Un’ultima lettera di Vincent Van Gogh ritrovata nella sua stanza dopo la morte del grande pittore olandese. Una lettera ancora chiusa, da portare all’amato fratello Theo, della cui consegna Joseph Roulin – postino dalla lunga e folta barba, reso immortale da alcuni ritratti dello stesso Van Gogh – incarica il giovane figlio Armand.
Si apre così Loving Vincent, pellicola “dipinta” a mano, scritta e diretta da Dorota Kobiela e Hugh Welchman. Una scelta narrativa riuscita, quella di ambientare la vicenda un paio di anni dopo quel fatidico giorno di luglio del 1890 in cui il pittore post-impressionista mette fine alla sua breve e bruciante esistenza con un colpo di pistola.
Loving Vincent è dunque innanzitutto il racconto di un viaggio, quello di Armand Roulin da Arles a Parigi e infine ad Auvers, inseguendo a ritroso i luoghi e gli incontri che hanno punteggiato la biografia del pittore in terra francese. Ma è anche un film che avanza agilmente sui binari di una crime story fatta di dubbi, domande e pareri contrastanti sui modi e le scelte fatte da Van Gogh negli ultimi, fatali giorni prima dello sparo. Nel farlo, comunque, gli autori dimostrano una buona documentazione sulla reale vicenda biografica del pittore, portando in scena uno dopo l’altro personaggi, luoghi e azioni fuoriusciti dalla tavolozza di Vincent senza eccedere – cosa non scontata, visti i molti precedenti – su quel sensazionalismo facile che infarcisce e ingabbia tante riletture recenti dell’arte e più in generale della figura vangoghiana (si veda, ad esempio, il blockbuster espositivo “Van Gogh Alive”, tanto spettacolare quanto fuorviante per la comprensione della sua arte).
Ma veniamo alla più lampante e succulenta – anche in termini mediatici – caratteristica del film: una pellicola “dipinta”, dicevamo. Sì, perché l’intero film è realizzato frame by frame da dipinti a olio messi a punto da una squadra di oltre cento pittori, impiegati qui a tradurre la narrazione nelle pennellate inconfondibili e frante di Van Gogh. L’esperimento, pur fra sospetti di sterile (quanto indubbiamente affascinante) esercizio formale, risulta riuscito. Parlare di Van Gogh e farlo riattivando il suo proprio linguaggio visivo non può che stimolare e potenziare l’immersione completa nella vicenda. Certo qualche forzata attivazione “in motion” dei suoi celebri dipinti (il père Tanguy in abiti e pose ricalcati dal famoso ritratto del Museo Rodin o ancora il dottor Gachet che si risveglia per incanto dalla posa malinconica che lo ha reso celebre nel dipinto del 1890) suona forse posticcia, ma nel complesso – complice, come si diceva, una storia convincente – il pericolo di ritrovarsi di fronte all’ennesimo carrozzone sull’artista/genio isolato e incompreso è per fortuna scongiurato.
Il film sarà nelle sale italiane solo il 16, 17, 18 ottobre distribuito da Nexo Digital