Leonardodicaprio (tutto attaccato)
O la fuga dalla realtà di Riccardo Festa
È uno degli enigmi più inspiegabili del nostro tempo: perché Leonardo DiCaprio non ha ancora vinto l’Oscar? Nel nostro immaginario l’attore americano è diventato quasi un amico di famiglia per il quale tifiamo con affetto alla fatidica notte degli Awards; e, ogni volta, rimaniamo male per lui. Talentuoso e versatile come pochi una sorta di “Re Mida” di Hollywood , dallo spiantato ritrattista di Titanic al broker spietato di Wolf of Wall Street, il ragazzo ne ha fatta di strada. Eppure, ancora nessuna statuetta.
E certo, ora lo ritroviamo giustamente amareggiato sul palco del Teatro dell’Orologio a pronunciare il suo discorso di non-ringraziamento per l’ennesima nomination, mentre su un grande schermo dietro di lui scorrono le immagini dei sorrisi tirati dei colleghi. Ma ora cosa c’entra una pompa di benzina sperduta in una notte desolata? Forse DiCaprio non è davvero lui: tolta la sua maschera, infatti, c’è Mick (Michele Giovanni Cesari), protagonista di Leonardodicaprio (tutto attaccato), che a DiCaprio somiglia molto ma solo fisicamente; lungi dal divo americano, la sua vita si consuma anonima ai margini di una periferia indistinta e sonnacchiosa.
Mick non ci sta a pensare ai pochi soldi, alla mamma scomparsa, alle partite a Risiko del lunedì sera, e allora evade: la sua vita diventa un film di DiCaprio (anzi, i film), le scene celeberrime dell’attore si confonderanno appunto con la sua realtà. Così, tra frammenti di Django Unchained, il corteggiamento della ragazza, Anna, (Emilia Scarpati Fanetti) come fosse una scena di Romeo + Juliet, una discussione stile Revolutionary Road, Leonardodicaprio diventa una nuova espressione idiomatica che sta per fuga dalla realtà, l’illusione di essere il re del mondo di un regno dove tutto è in stallo: il papà Saverio (Lorenzo Bartoli) incatenato al ricordo della moglie, l’amico Giò (Luca Di Prospero) a una routine che non chiede di più, l’altro amico, il biondo (Riccardo Festa) alla paura stessa di vivere.
E mentre una scenografia mobile si sposta al solito bar, in discoteca o al karaoke, le immagini stridenti sullo schermo di modelle ammiccanti ridotte a mero oggetto sessuale diventano simulacro di un’ossessione per l’apparenza, di matrice tipicamente americana. Perché DiCaprio è anche questo: successo, soldi, belle donne icona pop pre-confezionata da consegnare ai posteri. Ecco che alla realtà quotidiana di provincia se ne alterna un’altra, più patinata: barbie parlanti che fanno da contraltare a corpi veri, maschere di carta sorridenti usate in improbabili sfilate di intermezzo; due realtà così distanti da ricongiungersi agli estremi nella figura di Mick, che ne è la sintesi.
Con taglio cinematografico e un gruppo di attori ben amalgamato e convincente (Sycamore T Company), Riccardo Festa porta in scena una proposta di riflessione originale e sincera nei suoi intenti, arrivando alla conclusione che forse evadere dalla realtà è ancora peggio di accettarla. Se a volte il testo rischia di cadere nella trappola del “troppo detto”, camminando sul filo del rasoio della didascalia, Leonardodicaprio, in modo inaspettato, sembra darci però una lezione: in fondo, cosa rappresenta l’Oscar per noi italiani? Forse sperare, immobili, in un cambiamento miracoloso che dall’alto possa salvarci, dando così motivo di lamento ogni volta che non avviene. Un modo assai comodo per incolpare l’esterno i famosi “altri” della causa dei nostri mali.
Letture consigliate:
‘I 15000 passi’ nel labirinto joyciano di una mente spezzata – Riccardo Festa, di Sarah Curati
O della nostalgia – Festa & Angius in Nostalgia di futuro, o la riconquista del presente, di Giulio Sonno
Ascolto consigliato
Teatro dell’Orologio, Roma – 2 dicembre 2015