«Chacun porte sa croix, moi je porte une plume» (ciascuno porta la sua croce, io porto una piuma). Recita così un detto popolare francese che sembra calzare a pennello per descrivere l'omonimo album di Leila, giovane cantautrice romana al suo esordio discografico. Sia ben chiaro, perché la citazione potrebbe essere fuorviante: il suo portare una piuma sulle spalle non è affatto sinonimo di superficialità, al contrario, denota la capacità di affrontare tematiche, riflessioni, spunti ed emozioni, talvolta anche complessi, con leggerezza, senza scomporsi e cedere a quella malinconia mista a pessimismo che spesso caratterizza le produzioni italiane.
Trentatré anni, una formazione all’Università della Musica e al Conservatorio di Frosinone, e una voglia di sperimentare che si riscontra in tutti i sette brani che compongono questo suo lavoro, scritto e prodotto nel’l’arco di un anno dalla stessa cantautrice in collaborazione con Federico Leo e Lucio Leoni (Lapidarie Incisioni). Ad accompagnarla, altresì, nel suo percorso creativo, Francesco Seguto alla chitarra, Federico Leo alla batteria, Carmine Iuvone al basso, violoncello e basso ukulele e Dario Colozza, in arte Ynaktera, alla parte elettronica.
Una vera e propria band che le ha permesso di creare sonorità eterogenee ed essenziali, semplici ma mai banali; perfette per accompagnare i suoi testi dalla struttura scarna, con parole spesso ripetute che si inseguono, si avvicendano e ritornano ossessivamente a chiarire concetti e a definire quella spensieratezza che è poi il vero e proprio fil rouge di un universo compositivo sempre mutevole e mai stabile.
Le elaborazioni vocali si fanno sempre efficaci sia quando sono alle prese con la componente elettronica (Dondolo, Mondo mio), sia quando sono accompagnate da elementi più basilari come l'arpeggio della chitarra (S'è fatto tardi, Noi), o addirittura da semplici cori e schioccar di dita (Uh). A completare il quadro, Sara, un brano brioso e giocoso che ci fa tornare di colpo all'infanzia; e Let Me Get In, unico brano cantato in inglese e di sicuro il più elaborato musicalmente, con richiami al nuovo pop internazionale senza farsi mancare sfumature jazz.
Un album che, complici le melodie orecchiabili e la sua già citata semplicità, entra prepotentemente in loop nella testa già dopo un paio di ascolti. Le doti di canto ineccepibili e la costante voglia di sorprendere e sorprendersi con geometrie sonore sempre differenti, rendono questa giovane cantautrice una promessa della musica italiana da non perdere d'occhio. Ora non ci resta che aspettare la sua prossima mossa.