Finché morte non ci separi.
Si parla molto di unioni negli ultimi tempi. Se ne è parlato in un Sinodo che (forse) intendeva rendere la Chiesa più attenta alle vicende degli uomini quelle terrene, s’intende; se ne è parlato nei salotti della politica, per far finta di esserci resi conto, finalmente, che la natura umana è molto più splendidamente complessa di quanto le etichette di genere ci abbiano educato a pensare; e se ne parla pure al cinema e a teatro, come a testimoniare che i rapporti specie quelli tra due individui restano fra le esperienze più incomprensibili e significative della nostra vita.
Finché morte non ci separi.
Ma quand’è che la morte intesa come fine non solo corporea interviene a separare chi ha deciso di legarsi, magari proprio per sopravvivere alla vita?
Fissando il quadretto di famiglia portato in scena al Teatro dell’Orologio da Teatrodilina (cui il multisala di Via dei Filippini dedica un percorso monografico in tre tappe), forse si può azzardare qualche risposta. I coniugi Lagonìa e il nome è tutto un programma sono al mare, in un giorno imprecisato, a consumare qualche momento tra la salsedine della Calabria e il ricordo di una vita spesa insieme.
Il tempo di Marisa e Ferdinando, infatti, dopo quarant’anni, sembra essersi ormai eroso, trascorso tra quelle chiacchiere senza tregua della donna (Francesco Colella) e i monosillabi bofonchiati dall’uomo (Mariano Pirrello). Nei loro ricordi, fatti di amore e gelosia, dolore per la perdita di una figlia e lenta rassegnazione al peso dell’età, c’è tutta la valenza universale di una storia comune, una storia di provincia dell’anima, come tante.
Così tra un cruciverba e un pannolone da cambiare, tra la vecchiaia immobile di Marisa e quella silenziosa di Ferdinando, si scopre la bellezza dell’unione: quello stare insieme per mutuo soccorso, per un amore che col tempo si è scansato per far posto a sentimenti forse meno intensi ma altrettanto necessari; sentimenti che ancora possono sciogliersi in una carezza fatta ad occhi chiusi, mentre la mente ridisegna le curve sinuose di un desiderio carnale solo sopito.
Francesco Colella e Mariano Pirrello guidati dalla regìa invisibile di Francesco Lagi (anche autore) sono abilissimi a caratterizzare in modo ironico e brillante i due personaggi di questa dolceamara riflessione sulla sopravvivenza alla vita di coppia: i due coniugi sono veraci, portatori sani di una bellezza semplice, che non può invecchiare, almeno finché le manone alla Morandi di Ferdinando potranno sostenere gli slanci di vitalità ciarliera di Marisa.
Sulla spiaggia dove si consumano Le vacanze dei signori Lagonìa, accanto all’ombrellone e alla borsa dei panini alla ricotta, c’è però anche una tanica di benzina, una possibilità di azione, una via di fuga che chiunque merita di poter conservare: per i due anziani non è ancora giunto il tempo di dividersi, non è ancora il momento per una livella dell’esistenza. Meglio ritrovarsi ancora uno accanto all’altra, magari su una vita che sembra essere una bella barchetta a motore, forse senza più carburante, ma che ancora li tiene a galla insieme almeno finché un’altra morte non li separi.
Letture consigliare:
Zigulì – Teatrodilina, di Laura Marano
Banane – Teatrodilina, di Nicole Jallin
Ascolto consigliato
Sala Moretti, Teatro dell’Orologio, Roma – 27 ottobre 2015