Unico film italiano accolto nel concorso principale a Cannes, come per Incompresa di Asia Argento protagonisti de Le Meraviglie sono gli adolescenti. Da qualche parte deve pur esserci un complotto se noi italiani, in questo periodo, decidiamo di raccontarci tramite il punto di vista dei più piccoli. Dietrologie a parte, l’opera seconda di Alice Rohrwacher ripercorre i ricordi di infanzia suoi e di sua sorella Alba, anche lei presente nel film. Gli elementi autobiografici ci sono tutti: Gelsomina è un’adolescente piuttosto introversa che vive con tutta la sua famiglia nelle campagne della Toscana. Lì hanno una piccola azienda che produce miele, il padre è infatti apicoltore, e altri prodotti agricoli. Ma è una bambina inquieta. Specchio del carattere ribelle e scontroso del padre, Gelsomina vorrebbe conoscere il mondo al di là del piccolo casolare in cui vive, vorrebbe sapere quali sono le meraviglie che esistono oltre la vita agricola che il padre ha scelto per lei. A rompere la routine fatta di lavoro intervengono una troupe televisiva e il temporaneo affidamento di un piccolo delinquente, Martin, alla sua famiglia.
La famiglia è proprio il centro di questo film bucolico, a tratti perfino utopico a voler sentire gli improperi di papà Wolfgang. Il legame che un nucleo familiare lontano dal mondo, lontano dalla civiltà quasi, riesce a creare tra i suoi componenti è proprio quello che la regia movimentata della Rohrwacher tende a sottolineare. I primi piani che raccontano gli scambi di sguardi, specie quelli tra padre e figlia, dominano il film. Sarebbe stato facile lasciarsi andare ad ampie panoramiche sognanti nei terreni aridi della location scelta, ma la regista riesce a trattenersi, riesce ad evitare questo topos trito, per andare oltre, per indagare nelle ragioni di un’infanzia che, nonostante tutto, deve essere stata felice.
Sofferta è l’interpretazione della figura del padre Wolfgang, ben impersonato da Sam Louwyck e dico impersonato e non interpretato perché la figura che ci restituisce è dura, verosimile e pungente: un padre capace di amare tanto sua figlia, al punto da comprarle un cammello, quello che lei desiderava quando era più piccola, e al tempo stesso di essere duro e scorbutico, ligio alla disciplina del lavoro. Di particolare impatto è la scena in cui vediamo per la prima volta la piccola Gelsomina compiere il suo numero, la sua magia. La meraviglia pare trasparire dall’inquadratura ravvicinata, un’emozione che ti investe nel momento esatto in cui l’ape esce dalla bocca della ragazzina. Forse il momento più coinvolgente in assoluto, in un film che fa della lentezza del racconto filmico la sua cifra più marcata.