Foto di scena ©Claudia Pajewski

Le Giovani Parole – Mariangela Gualtieri

In un’era segnata dallo scintillio opaco del successo, dall’affermazione di uomini gonfi come rane, dal cinismo sgraziato e gradasso che illude i deboli di potenza, cosa può significare ancora poesia?

Lusso per nostalgici? Pratica da intellettuali? O forse voce profetica che nessuno sa più accogliere? Dimenticare la poesia significa rinunciare ad ascoltare. Ma allora, se è già tanto difficile prestarle attenzione, cosa mai se ne può dire? Una lettura in teatro è un incontro privato, un’intimità fra sconosciuti, uno scambio legato a un istante sospeso; «recensire» non avrebbe alcun senso, forse raccontare, ma parlare è alterare, si può cercare allora di testimoniare. Dimenticate perciò lo Short Theatre, dimenticate il buio in sala, dimenticate Mariangela Gualtieri e il Teatro Valdoca: bisogna ripartire dal capo abbandonato, da un essere umano che compie un atto di poesia.

Fare poesia non significa sparpagliare frasi astratte e ricercate su righe tronche, fare poesia è prima di tutto confrontarsi con un limite: l’inesprimibile. L’uso della parola rende l’uomo unico fra tutte le creature viventi, ma al contempo lo costringe in una gabbia, talmente soffocante per cui alla fine «dire» diventa dire parole, «essere»essere una summa di parole.

La poesia, che è musica di parole, non le rinnega, piuttosto ne avverte la trappola: allora le strappa dal meccanismo perverso del pragmatismo, le dilata, le scuote, le ribalta, perché esse liberino tutto il potenziale nascosto e si rincontrino in combinazioni inaspettate, così da sprigionare nuove possibilità e infine oltrepassare il vincolo del limite.

Poesia è lotta—interiore: con le parole, con il silenzio, con il tempo. Mariangela Gualtieri si presenta umile e delicata sotto tre tiepidi fari nel buio: la sala è gremita, pochi bisbiglî però, c’è un silenzio quasi religioso, tutti in attesa di un mistero inspiegabile. Il nome? I versi? La lettura? Forse, ma c’è anche una voce, pacata e rovente, che poco a poco accende il buio degli astanti: qualcuno chiude gli occhi, qualcuno rimane assorto, qualcuno si commuove.

È una poesia apparentemente flebile e delicata, le parole però sono accuratamente affilate e pur nella loro grazia riescono a tagliare; ma ad emergere è soprattutto uno spirito maturo, accogliente, severo e dolce: dalle labbra di Gualtieri prende a sgorgare una vitalità antica, universale, come se i suoi versi fossero il canto del mondo—ecco allora si ha quasi l’impressione che la poetessa incarnando in scena la sua stessa poesia si trasformi nella grande madre terra.

Se il teatro è arte dell’effimero, ieri sera la poesia ha donato un soffio di eternità.

La Pelanda, Roma – 13 settembre 2014

In apertura: Foto di Claudia Pajewski: 2014 © Claudia Pajewski www.claudiapajewski.com

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