Il monaco certosino Roberto Salus (Toni Servillo) raggiunge un lussuoso resort tedesco dove è in corso un blindatissimo summit di ministri dell'economia dei paesi del G8. Daniel Roché (Daniel Auteuil), direttore del Fondo Monetario Internazionale, è l'unico a conoscere il motivo della misteriosa presenza del religioso.
Dopo il buon successo di Viva la libertà (2013), Roberto Andò torna a dirigere Servillo in un apologo rarefatto e sospeso sulle colpe del potere economico. È significativo che sempre più registi italiani negli ultimi anni guardino alla Chiesa come istituzione chiamata a sostituirsi ad una politica sempre più vuota di idealità e contenuti. È accaduto con Habemus Papam (2011) di Nanni Moretti, e accade con questa ultima opera del cineasta palermitano, non a caso assistita dalla collaborazione di figure importanti per il cinema di Moretti come il compositore Nicola Piovani e lo storico produttore Angelo Barbagallo. Per tramite della figura carismatica del monaco, cucita addosso alla maschera del sempre eccellente Servillo, Andò denuncia la spietata freddezza di un potere economico occulto ormai unico arbitro negli squilibri del pianeta. Solo in un fugace passaggio è fatto esplicito riferimento alla Grecia, ma è piuttosto chiaro che la manovra più volte evocata allude al drammatico spettro della Grexit e al costo sociale che essa comporterebbe.
Puntando tutto sul personaggio del monaco, il film ricerca un non semplice equilibrio tra giallo e pamphlet politico, richiamandosi a modelli alti come il Todo modo (1976) di Petri ma annaspando in qualche letterarietà di troppo. Sebbene non manchino momenti di folgorante pregnanza visiva, debitori verso un certo immaginario filmico sorrentiniano, il film più di una volta sembra impantanarsi nella artificiosità di scrittura dei dialoghi.
L'idea di partenza resta tuttavia interessante e soprattutto nella prima parte, quando ancora molti dettagli della trama non sono svelati, riesce ad affascinare. Buona parte della forza del film purtroppo si perde via via che la sceneggiatura introduce un inutile carosello di personaggi collaterali, abbozzati e privi di qualsivoglia spessore. Bello il finale con evidente richiamo francescano, che strizza l'occhio (e l'iride) a Charlie Chaplin. Del film sono state distribuite due versioni: una interamente ridoppiata in italiano e una (senza dubbio da preferire) in cui i personaggi delle diverse nazionalità parlano le loro lingue d'origine.