L’avventurosa storia dell’uzbeko muto – Luis Sepúlveda
L’avventurosa storia dell’uzbeko muto (Guanda, 2015) sembra fatto apposta per smentire tutti coloro che “Ma il racconto è un genere semplice, tutti lo possono scrivere…”, “Sepulveda, sì, quello della gabbianella e il gatto…”, “La letteratura sudamericana è relegata alla serie B, si sa…”.
Infatti con quest’opera, un vero e proprio romanzo in storie, Luis Sepúlveda ci racconta il passato e i sogni di un’intera generazione, attraverso brevi racconti venati di ironia e dolcezza, in grado di trasportarci e renderci partecipi della sua giovinezza militante, socialmente e politicamente impegnata, ma soprattutto impregnata di ideali e valori.
Una carrellata di personaggi dalla forte caratterizzazione, descritti attraverso immagini concise e divertenti: in primis, l’ormai celebrato uzbeko muto, che in realtà non è né uzbeko né muto, ma il giovane peruviano Ramiro, che sogna un’istruzione sovietica nella grande Mosca. Esperienza che si rivelerà una vera delusione, poiché il nostro eroe è a caccia – più che di sogni di gloria – di ragazze, musica e alcol. Attraverso queste pagine conosceremo un gruppo di guerriglieri compagni dell’immortale Che Guevara, còlto nelle sue ultime ore di vita, la splendida pasionaria Bichito, il coraggioso soldato Capaev e molti altri.
Ma, aldilà dei racconti in sé, peraltro estremamente godibili e divertenti, L’avventurosa storia dell’uzbeko muto può essere letto come un vero e proprio inno alla vita perché, in fondo, la felicità è un diritto, come ci ricorda Sepúlveda in ogni suo libro.
In questo caso, la vena autobiografica è davvero costante: protagonista indiscusso è il suo Paese, il Cile, così amato ma che, nonostante tutto, gli tolse la cittadinanza durante la dittatura di Pinochet. L’invito, rivolto anche e soprattutto ai giovani di oggi, è quello di ribellarsi alla sopraffazione, di lottare per la libertà, pur mantenendo intatta una gioia di vivere e una capacità di sorridere che pervadono tutta la sua produzione letteraria.
Altro tema sotteso all’intero volume è sicuramente la memoria, che è un punto fermo nella sua duplice veste di uomo e scrittore, e che si unisce in maniera indissolubile al diritto all’immaginazione (L’ultima rivoluzione rimasta in sospeso è quella dell’immaginario: dobbiamo essere capaci di immaginare in quale mondo e società vogliamo vivere, e se vogliamo essere cittadini o consumatori, come dichiarato dallo stesso Sepúlveda).
E per quanto riguarda la scelta del racconto? Una decisione ben precisa e oculata ma anche coraggiosa; infatti la difficoltà del racconto è nota ad ogni scrittore che vi si sia cimentato almeno una volta nella vita, la sfida di riuscire a catturare il lettore grazie a quelle (poche) parole giuste e concise. Anche stavolta Sepúlveda ci regala un’opera in grado di distinguersi per l’originalità dello stile e l’incredibile capacità narrativa, ma in questo caso possiamo notare un distacco piuttosto deciso dalla sua lunga tradizione letteraria; in questa serie di racconti, infatti, scindibili tra loro, l’autore cileno abbandona del tutto il pretesto narrativo del rapporto uomo-animale per abbracciare concetti più vicini al concreto, alla realtà sudamericana e alla Rivoluzione, facendo un bilancio degli anni della sua giovinezza.
La difficoltà di descrivere, con semplicità e senza mai appesantire la trama, il complesso quadro istituzionale del tempo, il patriottismo per la terra natia e gli ideali della gioventù cilena negli anni ’70, rendono quest’opera preziosa, lasciando un segno e una testimonianza indelebili nella storia non soltanto latina ma mondiale.