Laughter in the Dark
O la percezione della realtà secondo Hotel Pro Forma
Dark. Si inizia da un buio totale che non prelude a nessun inizio, ma permane per minuti interi: nel frattempo risate, rumori indistinti, voci di un uomo e una donna. Poi, uno schianto fragoroso.
Si inizia dalla fine di un romanzo e dal principio di una distruzione: quella di Albinus, protagonista di Laughter in the Dark, scritto nel 1932 da un giovane Nabokov squattrinato, in cui appare per la prima volta Lolita, qui con il nome di Margot. La vita del critico d’arte Albinus scorre serena fino a quando non conosce la ragazza, sedici anni, se ne innamora perdutamente e per lei lascia moglie e figlia; Margot lo tradirà però con Rex, amico di Albinus nonché ex fidanzato. Come la trama di Laughter in the Dark appare semplice e lineare, certo non si può dire lo stesso per l’imponente macchina teatrale che la mette in moto, concepita dal collettivo artistico danese Hotel Pro Forma.
Se nel primo frammento di spettacolo nel buio diventiamo la cecità di Albinus, che perde la vista in seguito a un incidente stradale; nella seconda parte, Light and Shadow, si fa luce sulla storia, narrata dall’inizio alla fine. Iniziamo a scorgere allora una scenografia dall’impianto geometrico: due schermi circolari grandi occhi scrutatori dietro cui si intravedono un pianoforte e un organo , un gioco di specchi rifrangenti, piccole aste e pedane. È in questo spazio anti-naturalistico che si consuma il triangolo amoroso tra Albinus (Klaus Tange), Rex (Johannes Lilleøre) e Margot (Clara Fasting Prebensen), ninfetta crudele di una bellezza diafana.
Foto di scena ©Claudi Thyrrestrup
In una postura innaturale dettata da scomodi tacchi (costumi Henrik Vibskov), gli attori cominciano a muoversi lungo traiettorie geometriche (coreografie Mette Ingvartsen) come tre monadi alienate. Fin dalle prime battute, l’effetto è spiazzante: le frasi limpide e impeccabili di Nabokov sono trasposte in altrettante molto lineari ma rese paradossalmente stranianti da un’interpretazione meccanica che le svuota completamente di significato (testo Mogens Rukov). È un’operazione che in realtà nasconde una pregiata costruzione drammaturgica: se la parola è liberata dal sentimento, questo in compenso è trasferito alla musica (suonata dal vivo da August Rosenbaum e composta da Nils Frahm), note al pianoforte che sono la rappresentazione di correnti sotterranee inconsce che si infrangono sulle pareti della storia. Il movimento assente della parola viene dunque assorbito da uno spazio che è concepito come materia viva, interconnesso agli attori che lo attraversano, che si nascondono o che aggirano ostacoli, mentre gli specchi ruotano su sé stessi, creando un vortice che confonde il piano della scena con quello del pubblico.
Foto di scena ©Claudi Thyrrestrup
Ora, l’incidente di Albinus è ripetuto in una luce abbagliante puntata dritta verso la platea (disegno luci Jesper Kongshaug); ecco che la perfida ironia di Nabokov va ad accecare un critico d’arte: prima sentimentalmente, poi, fisicamente. E mentre il tradimento avviene davanti ai suoi occhi, non si può non provare pietà per Albinus: in fondo un uomo ingenuo, fragile, che, nonostante rispettabili stratificazioni culturali, è schiavo della carne, che più avvizzisce più vuole dimenticarsi in un’altra. Non gli rimane allora che camminare goffamente per la stanza mentre va incontro alla tragedia inevitabile perché non è forse vero che la morte è il climax della barzelletta della vita?
Music. La storia si ripete, ma stavolta nelle ultime note, struggenti, di Frahm, che vibrano nell’aria come un prolungamento stesso dell’azione. Ed è questo che fa Hotel Pro Forma con Laughter in the Dark, scardina una storia per mostrarne la sua diversa percezione, secondo il medium di riattivazione; rappresentando così una realtà consapevolmente ambigua che non trova mai compimento ma solo sfuggente ripetizione.
Ascolto consigliato
Teatro Vascello, Roma – 28 novembre 2015