L’apocalisse è un lieto fine – Ermanno Olmi
Ho acquistato questo racconto biografico non per caso, ma l’avvio della lettura sembrava suggerire un ripetuto rinvio: succede poi che, per un non pianificato motivo professionale io abbia avuto l’occasione di parlare con il maestro Olmi, chiamandolo al telefono fisso di casa sua una mattina.
Mi ha risposto la Loredana (sua moglie, ho poi scoperto dal libro), che mi ha chiesto di richiamare un’ora più tardi poiché lui era chiuso in una stanza a studiare e non poteva disturbarlo. Ho quindi richiamato e dall’altra parte del filo questa volta ho ascoltato subito la voce di un uomo che dal tono – anche se non avessi letto fino a quel momento solo il retro di copertina lo avrei capito – non avrei avuto dubbi fosse di sentimenti.
Poche ore dopo questa telefonata ho sentito l’esigenza di iniziare a leggere la vita di quella voce e per la prima volta nella vita ho avuto la sensazione che mi fosse raccontato un romanzo, che quell’anziano timbro, ancora fiero, come anche sensibile, avesse donato alla carta un suono.
Eppure credo che il racconto autobiografico di Ermanno Olmi, seppur letto dopo il privilegio di un breve dialogo con lui, per altro senza cenno al romanzo in questione, suoni comunque di questa voce narrante, perché è vivo nelle immagini e quasi onorico nella restituzione di molti dettagli pragmatici, d’altronde un talento ricorrente in chi sa davvero raccontare con il cinema. Come succede nella spiegazione di sole due righe in cui racconta della nonna che gli giustificava il perché fosse un bimbo con i capelli rossi: di certo Olmi riporta le parole della nonna, ma l’articolazione dell’intero discorso rende quella nascita sotto la pianticella di pomodori una piccola poesia.
E’ una biografia famigliare la storia di Ermanno Olmi, attraverso il racconto delle vite di sua mamma e di suo papà, di chi l’ha messo al mondo. La gratitudine per questo dono ricorre in tutto L’apocalisse , vivido di quel senso di famiglia che, unitamente alla dedizione per il lavoro, sono i forti valori tipici di un certo profondo nord, quello natale del maestro, non a caso.
E’ un racconto di nostalgia, ma non triste, perché spiegato come assenza e scomparsa di luoghi e autenticità che appartenevano alla bellezza di un tempo, eppure con la consapevolezza del presente.
Cos’è, se non la nostalgia, a farmi ritrovare i momenti in cui sono stato felice? E durante la mia infanzia, felice lo sono stato davvero.
E poi, parafrasando una domanda che lui stesso si pone in apertura, idealmente io gli domando: e poi come è andata?
Adesso non prenoto più il mio futuro. Voglio ritrovare il tempo dell’infanzia .
Forse, leggendo questo libro, e dunque lui scrivendolo, si capisce che Ermanno Olmi abbia davvero ritrovato, e stretta la tenga a sé, quella felicità, così come anche si capisce perché l’apocalisse sia un lieto fine.
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