Il loro quinto album Gravity The Seducer segna un’altra svolta: non troverete più il synth-pop alla Human League dei primi dischi, e sono molto meno intense le contaminazioni wave/shoegaze. I sintetizzatori indossano uno smoking e la musica si fa più elegante e raffinata e gli arrangiamenti sono caratterizzati da una ricercatezza che tocca i massimi livelli della carriera decennale dei Ladytron. Resta sempre la componente oscura e sofferta alla quale si aggiunge un’atmosfera eterea, rilassata, che potrebbe rappresentare una sorta di pace interiore, un compromesso rispetto alle dissonanze interiori espresse concettualmente dal gruppo.
La copertina dell’album anticipa in un certo senso queste novità con quel paesaggio al tramonto che suggerisce una raggiunta tranquillità in un determinato momento prima che l’oscurità riprenda il sopravvento. Questa fotografia si rispecchia perfettamente nella dolcezza della voce di Helen Marnie nel primo pezzo White Elephant: sfumature dream-pop talvolta sovrastate da synth minacciosi. Miglior inizio non poteva esserci. Mirage è un pezzo elettropop che sfiora quasi la perfezione e mi ricorda molto le atmosfere dei Darkstar ma con un piglio meno depresso e il ritmo più incalzante.
White Gold invece è forse la canzone più inquietante dell’album grazie al contrasto fra la parte musicale celestiale che fa sottofondo alla voce e la freddezza della parte strumentale. Il brano è uno dei migliori dell’intero lavoro, anche perché questo contrasto a lungo andare si spezza e fa fondere le due anime del pezzo in maniera impeccabile. La successiva Age of Hz (insieme a Melting Ice) è la più danzereccia e quella più legata ai precedenti dischi; il ritmo non cala con la quasi tutta strumentale Ritual che sembra il risultato di una miscela fra un pezzo progressive e uno elettronico, con sussurri in sottofondo a fare da cornice a questo splendido brano.
L’aria si fa più rarefatta con Moon Palace (nella quale ritroviamo anche la voce di Mira Aroyo), a mio parere il manifesto dell’accuratezza di questo album, risultando una sorta di Depeche Mode dei tempi di Black Celebration più aggraziati. Altitude Blues potrebbe sembrare una copia di alcuni pezzi già ascoltati, ma una sorta di spoken-witch-word e il minimalismo glaciale che ritroviamo a fine pezzo capovolgono la situazione. Subito dopo si raggiunge ancora una vetta con Ambulances, caratterizzata da un climax di una dolcezze ed eleganza unica. Se la foto della copertina dovesse avere una colonna sonora, questo sarebbe il pezzo perfetto.
Transparent Days è un altro passaggio di delicatezza che si dimena tra synth assassini ma mai spigolosi e un ripetuto ma leggero suono di campanello. La leggerezza non abbandona il successivo 90 Degrees, pezzo ovattato e contenuto che esplode parzialmente solo nel finale (da sottolineare che questa canzone non ha una conclusione e viene sfumata; e a mio parere questa è una pecca). Sulle stesse tinte il conclusivo Aces High.
I Ladytron trovano un nuovo equilibrio grazie ad un suono più sofisticato e meno irruento, senza però rinunciare ad una certà freddezza del suono. Il risultato è più che gradevole e incuriosisce il modo in cui potrebbe evolvere ulteriormente il suono. L’unica certezza per ora è che il gruppo non solo si conferma uno dei migliori in circolazione (non avendo fatto passi falsi), ma aumenta notevolmente l’impatto emotivo che forse nei precedenti album era messo in secondo piano.