La violenza della parola in ‘The Cordelia Dream’
Valerio Binasco a Trend con Marina Carr
Urlate! Urlate! Urlate!
Atto quinto, scena terza: re Lear entra con il cadavere di Cordelia tra le braccia, l’unica figlia che lo abbia mai amato. È il momento più straziante della tragedia, in cui il legame di sangue trova la sua riconciliazione soltanto nella morte.
Cosa accadrebbe se questo piccolo frammento ritornasse in un sogno e i protagonisti non fossero più Lear e Cordelia bensì un padre e una figlia animati da una passione altrettanto oscura di distruggersi a vicenda? Parte proprio da qui The Cordelia Dream dell’autrice irlandese Marina Carr, trasposto sulla scena del Teatro Belli in un primo studio a cura di Valerio Binasco.
In una casa squallida e isolata vive il vecchio padre; come unica compagna, una mediocrità che butterebbe volentieri giù chi non ne sia affetto. Egli è infatti un compositore il cui talento è stato superato di gran lunga da quello di sua figlia, violinista di successo. Trascorre così i suoi giorni corroso da una feroce invidia per chi invece vorrebbe disperatamente un po’ d’affetto. Ecco allora che un giorno riceve la visita di quella figlia tanto odiata, un pretesto per quest’ultima di raccontare il sogno che la tormenta, tratto per l’appunto dal sanguinoso quinto atto del Re Lear. La paranoia trasposta nello spazio onirico rivela così il vero motivo della visita: scongiurare la paura di essere uccisa dal padre, come fosse un motivo edipico rovesciato.
Da quel momento passano cinque anni e la figlia ritorna dal padre: torna perché le è mancato tanto; torna per racimolarne qualche briciola d’amore; torna dopo aver persino rinunciato a comporre per rispettarne il voto di silenzio, proprio come si riproponeva la Cordelia shakespeariana nel primo atto: Love and be silent. D’altronde, ogni donna ama un fascista scriveva Sylvia Plath in Daddy. E in effetti sembra proprio che la vittima abbia un bisogno ostinato del suo carnefice. Ora però, il padre è invecchiato, vaneggia e non riconosce più la figlia cuore di cane; il linguaggio si disfa in immagini visionarie e sconnesse: con quel suo buffo cappello a fiori, sembra proprio di rivedere Lear quando, dopo aver compreso la vera natura delle figlie, tornava in scena inghirlandato a festa, in preda alla follia. L’atmosfera diventa più rarefatta: il sogno, o meglio, l’incubo prenderà il posto della realtà.
Teresa Saponangelo e Valerio Binasco danno vita alla violenza della parola di Marina Carr, che riassorbe su di sé un’atmosfera sanguinaria, affonda lì dove in genere tace in quell’area torbida dell’invidia con estrema sincerità, rinunciando a qualsiasi giudizio per lasciare all’odio la libertà di fluire liberamente. Un odio che a volte è troppo marcato per rendere conto delle molteplici sfaccettature di un rapporto padre-figlia; a volte il non detto, le pause, il silenzio riescono a rievocare significati più reconditi che all’illustrazione dei sentimenti necessariamente manca.
The Cordelia Dream è meno di uno spettacolo e più di una lettura, dove già nell’intesa degli attori, nella veridicità della voce, nei movimenti che chiedono di crescere, è in nuce la giusta intenzione di far rivivere lo spettro di Shakespeare con cui inevitabilmente ci confrontiamo.
Letture consigliate:
Confirmation, l’altra faccia del male di Utøya, di Elena Cirioni
Cans, o il lato oscuro delle azioni virtuose, di Sarah Curati
Ascolto consigliato
Teatro Belli, Roma – 27 ottobre 2015
In apertura: ©J.H. Füssli King Lear Admonishing Cordelia