Nel 1983 Luois Dumont, noto antropologo francese, pubblicò Essais sur l’individualisme: Une perspective anthropologique sur l’idéologie moderne. Nel volume, pubblicato negli anni del cosiddetto edonismo reganiano, si cattura l'immagine di una società che, caso unico nel corso della Storia, invece di riunirsi attorno al possesso comune di un'idea forte, dalla rivoluzione alla monarchia, passando per l'impero o per il riscatto nazionale, si rinchiude in un sordo individualismo sempre più personalizzato e, giustappunto, parcellizzato. Sulla stessa lunghezza The Zen Circus hanno realizzato questo La terza guerra mondiale, uscito per La Tempesta Dischi.
Il nono album per i pisani si presenta come una specie di montagne russe, dove per alcune vere e proprio gemme sotto-forma di canzoni, vi sono altri episodi molto meno convincenti, forse frutto di una troppa aderenza al tema centrale dell'LP. Infatti il concetto attorno a cui ruotano, più o meno fedelmente, tutte le tracce di “La terza guerra mondiale” è quello secondo cui la società odierna ormai è molto più occupata a fotografarsi, riprendersi e condividersi con i telefoni, piuttosto che, banalmente, accorgersi di quanto accada attorno.
La copertina, per una volta aperta e allargata (un brava a Ilaria Magliocchetti Lombi, autrice dello scatto), raffigura appunto Appino, Karim Qqru, Ufo mentre, sorseggiando uno spritz d'ordinanza, si fanno un selfie con tutt'intorno, le macerie di una città distrutta, rappresentanti una guerra mondiale, quasi auspicata in certe canzoni, come specie di sveglia per questa distorta e distratta società. Ma, dicevamo, del concetto di montagne russe per l'album. E quest'idea emerge con chiarezza quando si sente, ad esempio, Ilenia, la seconda traccia, diventata, appena pubblicata, quello che si può definire un instant-classic. Un testo illuminato, che coglie alla perfezione la perdita di romanticismo delle piazze, le ansie di questi adolescenti, sempre uguali sempre diversi a quelli che li hanno preceduti ed a quelli che verranno dopo di loro, arricchita da una band che suona alla perfezione, potente e tonante come i migliori Zen.
Dopo questa assoluta perla, ecco però il sali-scendi, la montagna russa: arrivano infatti la mediocre Non voglio ballare (dove, fondamentalmente, si esplorano concetti già ampiamenti espressi nella traccia omonima del disco, La terza guerra mondiale) e, l'interlocutoria, Pisa merda, uno scivolone, un passaggio a vuoto per i toscani. Ma ecco che, per l'abbassamento netto della qualità, arriva, subito dopo, L'anima non conta, una bellissima ballata di soul-bianco che sembra fatta apposta per essere citata e ri-citata sui nostri quaderni e nei nostri status. D'altronde, e qui si butta una piccola provocazione, The Zen Circus non sono nuovi a tali saliscendi emozionali: se negli anni avessero fatto, estremizzando, solo EP staremmo con tutta probabilità parlando della migliore band italiana (anche, e soprattutto, a livello di scrittura). E invece, con i già citati otto album alle spalle, si ha un gruppo solido, fortissimo e solidissimo dal vivo ma che, su disco, perde molto di quel gradiente di cattiveria tipico dei pisani.
Così anche in questo La terza guerra mondiale: si ha Zingara – Il cattivista, un nuovo passaggio a vuoto e poi viene San Salvario un diretto e sincero quadro della contemporaneità, realizzato dalla penna di un Appino particolarmente in vena. Insomma, a conti fatti, “La terza guerra mondiale” racchiude tutti i pregi e i difetti degli Zen: grandissime canzoni intervallate da episodi deludenti, forza e possanza da un lato, ritorno sugli stessi temi dall'altra. Ma forse è proprio questo il valore del gruppo di Pisa: una costante imperfezione suonata con tutta l'onestà possibile di questo mondo.