Brigitte (Isabelle Huppert) e Xavier (Jean-Pierre Darroussin) sono una coppia come tante: marito e moglie con figli, allevatori nella campagna della Normandia, con quella giusta dose di sottili liti che, come una peculiare pellicola, protegge e stimola nonostante tutto il loro rapporto, lo fa navigare con successo nelle acque degli anni che scorrono senza particolari intoppi.
Brigitte, però, notevole per il suo originale brio, comincia a sentire passo dopo passo la morsa della quotidianità farsi più stretta. E così la donna, complice anche le sempre più frequenti incomprensioni e la crescente ottusità del marito che non sembra capirla del tutto, finisce a Parigi. E quale migliore città, verrebbe da pensare, per (ri)trovare se stessa, scoprire la bellezza vasta ed eterogenea del mondo e fare la conoscenza di qualche nuova persona, magari un brillante uomo? Ma le sorprese, nel corso del viaggio, giungeranno inaspettatamente anche da parte del marito.
Isabelle Huppert, come ogni cinefilo che si rispetti dovrebbe sapere, è semplicemente un’attrice superba, una delle massime viventi. Su quel volto in apparenza più mirabilmente freddo e impassibile del miglior esempio di iceberg, il suo talento fa planare un’impressionante capacità di trasformismo. I suoi personaggi tormentati, alteri e incredibilmente sfaccettati l’hanno resa una delle più grandi dive del cinema francese, e le sue collaborazioni con nomi come Chabrol, Godard, Haneke, Schroeter, De Bernardi e Ferreri, nonché con illustri registi di teatro, le hanno permesso di essere considerata una vera e propria icona della cultura. Ma anche il suo “miracolo” d’attrice ha i suoi (legittimi) limiti, dato che nemmeno la sua presenza riesce a salvare un film fatto di cinema inesistente come questo La Ritournelle, presentato a France Odeon a Firenze.
Il regista Marc Fitousssi, con cui la Huppert aveva già collaborato nell’altrettanto inutile Copacabana, tenta di mostrare una versione inedita della “Ice Queen” del cinema francese facendole interpretare una parte spesso da commedia. Tale operazione, però, era già stata affrontata molto meglio, ad esempio, da François Ozon in Otto donne e un mistero, in cui l’attrice veste magistralmente i panni di un personaggio grottescamente buffo e fuori dalle righe. Il regista prova a costruire una figura femminile di spessore, briosa, semplice ma in realtà complessa, carica di bizzarre nevrosi che si nascondono inizialmente dietro la grande maschera del quotidiano, ma che finiscono per arrivare a galla con forti tracce disagio e la necessità di cambiare abitudini.
Peccato, però, che l’occhio di Fitoussi sia così privo di personalità da parere accecato, e che il suo cinema equivalga a un sostanzioso zero, reso ancora più gigantesco da un’imbarazzante banalizzazione dei sentimenti, dei tradimenti, del rapporto a due e da una Parigi da cartolina.
Cara Isabelle Huppert, sperando che in futuro eviti di ricadere in scelte poco felici come in questo caso, proveremo a dimenticare la vistosa inutilità di questa misera operina ripensandoti eccelsa in film come La merlettaia, Malina, Il buio nella mente, Grazie per la cioccolata e La pianista.