Cinque canzoni dal sapore errante e fresco, come una mattina di sole in dicembre. Pensieri che si sciolgono in stoviglie color nostalgia, ritratti attuali dipinti con pennelli logori, colori pastello in rilievo sullo sfondo gelato della pianura padana. Polvere di brina e infusi di tè inglese. Distanze che si appiattiscono sui Frecciarossa e si dilatano sui regionali. Comunicazioni intense, così intense da sembrare vane, polverose, appartenenti ad un’altra era. Schermi dei computer sempre accesi, gestori della telefonia mobile in competizione, la vibrazione del cellulare nella tasca dei pantaloni, anche se a volte è pura suggestione.
L’Orso racconta il mondo dei ventenni, divisi tra un’emotività tempestosa e una realtà apparentemente stabile. Ventenni che rincorrono amori lontani e che non tornerebbero a casa mai. Paure inestricabili, difficoltà a capirsi anche quando tutto sembra chiaro e il percorso ben tracciato. La provincia è uno stato d’animo. Chi non ci è nato può solo immaginarlo.
Voi venite dalla provincia di Ivrea, una cittadina nota soprattutto per “la battaglia delle arance” , neanche 25.000 abitanti, in un territorio a metà strada tra Torino e Milano. La provincia è in grado di riservare un richiamo più forte per le nuove leve generazionali o chi se ne va per studiare è rassegnato ad un futuro nomade? Chi come voi vive di pane e musica sente che potrà tornare a casa un giorno e qui lavorare, mettere su un’attività, scrivere senza dover cambiare residenza? Ci sono luoghi in cui potersi riunire senza finire in un limbo di attese e noia?
Di Ivrea in realtà sono solo io, Mattia. La situazione del nomadismo giovanile è molto complessa. Per quanto riguarda la mia esperienza, la provincia in quanto realtà limitata ha una scadenza per chi si trova a viverla. Il primo e naturale scoglio è la fine del liceo. In un ‘paese’ di 25.000 abitanti le soluzioni e gli spiragli per prender fiato sono davvero pochi. A Ivrea oltretutto la ‘questione musicale’ è molto complessa: solo discoteche. Concerti pochi, sporadici e disorganizzati. ‘Due discoteche, 106 farmacie’, direbbe Max Pezzali, perché alla fine la provincia pavese non si differenzia da quella torinese. Nell’attuale situazione italiana è ormai difficoltoso sopravvivere in città (parlando da fuori sede): i costi si moltiplicano ogni anno con la stessa velocità con cui i posti di lavoro diminuiscono, i punti di accesso verso una ‘carriera’ diventano sempre meno. Credo che in questo periodo le professioni siano rimaste in provincia, mentre in città bisogna inventarsi e non soffermarsi su un lavoro a carriera unidirezionale. Fortunatamente qualche provincia sta iniziando a creare delle piccole realtà, garantendo una via di fuga mentale alternativa. Qualche ritorno a capo chino verso il nido sarà meno amaro.
Molti vi hanno paragonati a I Cani anche per la facile ironia tra i nomi. Forse perché entrambi parlate di ventenni, di precari, di amori difficili, di tecnologia, insomma di tutto ciò che ruota intorno al panorama di questi anni ’10. Voi come la pensate, vi sentite lusingati o preferireste paragoni diversi?
‘Di cosa vuoi che ti parli che ho poco più di vent’anni?’ è una frase del nostro secondo EP che reputo fondamentale. Io e Niccolò non siamo molto lontani come età (io sono classe 1988, mi pare lui abbia tre anni in più) e credo che entrambi abbiamo sempre guardato attentamente i movimenti sociali dei ‘ventenni’ di questo nostro periodo; a metà tra il divertimento e la morbosità. D’altronde di cosa dovremmo parlare vista la nostra età? E’ realismo (se Niccolò legge, so che apprezzerà il riferimento ai Magnetic Fields). Poi non so cosa scriverà lui in futuro e non so cosa scriverò io. Naturalmente la musica è composta anche dalle note, dal suono e dall’atmosfera; e qui con I Cani non c’è nulla in comune. Ma quando si canta in italiano la questione musicale a volte sembra essere lontana, quasi abbandonata a sé. In sintesi: ci lusinga per quanto riguarda la scrittura testuale (Niccolò è un amico nella vita reale e ci fa piacere anche un lontano confronto tematico), ma preferiremmo paragoni diversi riguardanti la scrittura musicale.
Invitami per un tè sembra parlare di una relazione epistolare che non ha avuto sbocco forse proprio a causa di tutto questo scriversi. Non c’è più un riscontro nella realtà. Ne cantate come di qualcosa di normale, ma non lo è. Raccontare le relazioni oggi non è più come dieci anni fa, si è evoluto il modo di pensare e di reagire. Siete nostalgici o credete sia giusto che anche in amore la tecnologia metta mano?
La nostra generazione (ne L’orso abbiamo più o meno tutti la stessa età) è già nata nostalgica. Abbiamo Skype, il 3D e l’iPhone, ma avremmo preferito continuare a giocare ad Arkanoid, o Monkey Island. Quanto è difficile finire questi due videogames? E quanto è facile ricordare quanto era bello giocarci scrivendolo da un portatile, su un treno ad alta velocità mentre si va da una persona che probabilmente senza internet nemmeno esisterebbe nella propria vita? Siamo dei nostalgici che cercano di sfruttare al meglio i vantaggi di una tecnologia rapidissima. In fondo, nei momenti di regetto, abbiamo sempre la possibilità di spolverare il Mega Drive, soffiare dentro la cartuccia e riiniziare Sonic.
In Quanto lontano abiti si sente ancora quella difficoltà che viene dalle distanze soprattutto in provincia. Fino ai diciott’anni non avere la macchina deve aver causato non pochi problemi. Ma poi patente e tanta voglia di viaggiare, andarsene e percorrere chilometri verso l’ amata, la compagnia e l’università. Questo mondo tende ad appiattire o ad aprire nuovi orizzonti, proprio perché sognare è la parte più importante degli anni adolescenziali?
La nostra adolescenza in provincia è già stata superata quanto a modi e metodi di sopravvivenza. Il mondo è entrato nelle camere dei ragazzi e oramai ci vuole un attimo per evadere. Si ha una maggiore consapevolezza virtuale ed una minore sensibilità ‘di strada’, per usare un termine molto rap, come piace a me. Di certo, per chi ha la fortuna di capire quanto di vero c’è in un social network, la via di fuga sarà garantita. Altri potrebbero perdere di vista la realtà fattuale. Non penso che nessuno di noi farebbe a cambio d’adolescenza con un ragazzo di adesso. Ti cito qualche verso di un brano di Jocelyn Pulsar, credo sia un’ottima sintesi:
‘Tu ragazzino di 15 anni con il videogioco che sembra un film,
con la grafica straordinaria però difficile così così,
tu che mi prendi in giro perché sono dell’era del Game Boy,
prova a finire Arkanoid.
Tu ridi ma poi, prova a finire Arkanoid.’