La perenne attesa dei trentenni
Al Festival Castel dei Mondi 'Il paradiso degli idioti' della Ballata dei Lenna
«Trentenne si riferisce a una famiglia di grossi mammiferi con caratteristiche di maturità, emancipazione e stabilità, estinta da decenni, più o meno con l’entrata in vigore del pacchetto Treu sul lavoro».
Quella che ci offre Zerocalcare è una descrizione impietosa ma, senza generalizzare troppo, veritiera di una categoria che stenta come non mai a trovare una posizione ben definita nell’attuale società. “Bamboccioni”, “choosy”, incoraggiati a procreare, questi trentenni spesso bistrattati sono da tempo al centro dell’attenzione mediatica per la loro inconfutabile propensione all’attesa che spesso coincide con l’estenuante ricerca di quel consenso che gratifichi la propria esistenza.
Come ha ben evidenziato la Trilogia dell’Attesa della compagnia Lafabbrica, ci troviamo di fronte a una generazione beckettiana che, seppur non sia esente da personali colpe, deve molto del proprio perenne “infantilismo” a chi, su questo pianeta, l’ha messa al mondo. E proprio da Adamo (Francesco Marilungo), il padre per antonomasia con (a quanto pare) qualche generazione sulla coscienza, parte Il paradiso degli idioti, ultimo lavoro della Ballata dei Lenna, giovane compagnia alessandrina dal cuore pugliese. La figura biblica, inizialmente spaesata e sola sul palco, è, infatti, l’anello di congiunzione dei due mondi – l’onirico e il reale – in costante dialogo per tutta la durata dello spettacolo.
Nel mondo reale, invece, troviamo due fratelli – Andrea (Nicola Di Chio) e Sonia (Miriam Fieno) – riuniti dopo anni di lontananza per leggere le ultime parole del loro padre ormai morto. Il primo è alle prese con la stesura della sua sceneggiatura Il paradiso degli eroi, una saga in cui una Donna Scimmia (Paola Di Mitri) uccide a colpi di pistola Adamo dando vita a una nuova generazione di eroi. Una ricerca, nella finzione, della speranza smarrita nella realtà ma altresì una condanna, perché quella “maledetta” scimmia proprio non vuole premere il grilletto.
Sua sorella, al contrario, è una cosmopolita artista visiva alla ricerca di un luogo in cui le sue opere di dubbia eticità possano essere valorizzate economicamente. Siamo dunque alle prese con due classici abitanti di quel “fake plastic earth” che a metà degli anni Novanta profetizzavano i Radiohead e che proprio in questo periodo storico sta raggiungendo il suo massimo livello d’espressione.
Una porta di sacchetti di plastica, un divano e la misteriosa lettera penzolante dal soffitto sono gli elementi che compongono una scena in cui i due protagonisti si scoprono sorprendentemente simili nonostante le abissali differenze che caratterizzano il loro modo di stare al mondo. Entrambi, infatti, sveleranno la propria attitudine alla fuga, l’incapacità di prendere realmente in mano una situazione ormai sempre più scomoda, e la vacua rincorsa al dolce gesto o parola paterna mai manifestata in precedenza: uno stimolo o (forse) solo una consolazione incessantemente inseguita e che mai troverà compimento.
Gesto e parola si alternano senza tregua e caratterizzano i due mondi, quello fittizio e reale, ben amalgamati e contaminati dal linguaggio cinematografico. Dalle luci ispirate alle atmosfere di Lynch o dell’ultimo Refn, alle carrellate ottenute tramite spostamenti scenografici a vista, la compagnia dimostra di sapere fondere e utilizzare senza eccessi più registri creativi. Se a questo aggiungiamo indubbie doti di scrittura e interpretative, diventa chiaro che ci troviamo al cospetto di un giovane progetto dalle grandi potenzialità, alcune delle quali, come giusto che sia, non ancora totalmente espresse. Si può migliorare, infatti, il ritmo dello spettacolo, con progressioni e rotture improvvise che in qualche passaggio necessitano di un maggiore equilibrio, piccoli accorgimenti per rendere più fluida l’ora e mezza di durata della messinscena.
La Ballata dei Lenna, dunque, propone una fotografia nera di una generazione che dai propri padri non ha ereditato nulla e proprio per questo ha bisogno di una forte scossa per provare a reagire e riaccendere l’ormai flebile fiamma vitale che li contraddistingue. Altrimenti il rischio è di finire comodamente seduti su un dannato divano di plastica aspettando inermi che lentamente sprofondi.
• La Trilogia dell’Attesa – Fabiana Iacozzilli, di Giulio Sonno
• Generazione disagio – Riccardo Pippa, di Adriano Sgobba
• Tutti i padri vogliono far morire i loro figli – Fabio Morgan | Leonardo Ferrari Carissimi, di Nicola Delnero