La nostalgia per la morte
A Inventaria la satira distopica di Claudio Morici
A teatro si ride poco e male. Mancano le storie, i bravi comici, il giusto ritmo scenico. Così per farsi una sana risata si ricorrono i comici televisivi, si aspetta di vedere l’ultimo mattatore alla moda fare qualche serata per poi ripiombare nella tristezza, a volte anche un po’ squallida, di chi armato anche di buone intenzioni cerca di far ridere a teatro. Poi per fortuna ogni tanto si trovano delle eccezioni, come Claudio Morici.
Un comico, un cabarettista, ma prima di tutto uno scrittore, approdato sul palcoscenico con le sue storie irreverenti, popolate di personaggi tratteggiati con la cura e la devozione dei bravi narratori. I suoi testi, Morici li porta in scena, li legge, li interpreta ne sonda le peculiarità più intime, per renderli al pubblico come racconti vivi, frammenti di un immaginario satirico contemporaneo che tocca le nostre abitudini, i nostri vizi e le nostre debolezze.
Questo è L’ultimo volta che mi sono suicidato, un testo brillante dal punto di vista narrativo che ribalta in chiave comica un pilastro della nostra società: la rivoluzione di internet. Cosa accadrà quando anche noi, nativi digitali, diventeremo vecchi e non sapremo più in grado di riconoscere le nostre abitudini? Con questa domanda Morici descrive un 2089, dove noi giovani rampanti dell’era digitale ci ritroviamo vecchi. Internet è stato ormai sostituito dalla telepatia che permette di leggere nel pensiero e fare viaggi con il teletrasporto. Facebook è stato dimenticato, Tinder è un ritrovo per vecchi e i giovani non chattano più.
A descrivere questo futuro un nonno e un nipote. Due generazioni messe a confronto che, tramite un abile uso delle parole si dimostrano quanto mai attuali, ricordandoci lo scarto generazionale che noi stessi in questi anni stiamo vivendo.
Il racconto si basa proprio su questa sostituzione, il futuro descritto come se fosse il nostro presente, un escamotage per analizzare la nostra società efficace. Ma c’è di più, in questo 2089 dove la telepatia ha ormai sostituito ogni forma di comunicazione, l’uomo ha raggiunto un altro enorme traguardo: è riuscito a sconfiggere la morte. È qui che il testo si trasforma, perde la sua natura spensierata e si fa più profondo. Le risate improvvisamente diventano più amare e subentra sulla scena un elemento a tratti sconvolgente: la nostalgia per la morte. Senza di essa la vita appare inutile, noiosa ed eterna. Tutto cambia: l’amore, i rapporti, l’essenza degli esseri umani. Fa paura questo futuro dove da un momento all’altro la grande livellatrice non esiste più.
Sta cazzo de ricerca medica a un certo punto ha cominciato a macina’, sentenzia con la sua voce profonda il nonno nostalgico di un funerale che non avrà mai. La scienza ha rotto ogni confine umano, distrutto il trascendente e vinto la partita con la morte. Tutto questo nel testo di Morici assomiglia più a una sconfitta che a un traguardo. L’uomo è condannato a vagare senza più desideri e obiettivi. Questa visione catastrofica nel testo emerge, ma rimane sempre velata dall’ironia, adottata come una sorta di palliativo grottesco per gestire e portare alle luce le mancanze delle nostre conquiste tecnologiche.
Ascolto consigliato
Teatro dell’Orologio, Roma – 11 maggio 2016