La Mite, una donna-marionetta destinata alla morte
Dostoevskij secondo César Brie e Teatro Presente
Chi ero io e chi era lei. Inizia così il primo paragrafo del racconto di Dostoevskij La mite. Con questo titolo lo scrittore russo trae in inganno i lettori, infatti andando avanti ci si rende conto della totale assenza della storia della protagonista. Quel «chi era lei» viene dimenticato, riempito solamente con qualche nota biografica, giusto pochi dettagli. La mite non ha un nome, è un oggetto, anzi un manichino nella mani del vero protagonista del racconto: l’usuraio.
E proprio un manichino compare sulla scena dell’adattamento teatrale del racconto, portato in scena dalla compagnia indipendente Teatro Presente con Clelia Cicero e Daniele Cavone Felicione per la regia dell’argentino César Brie.
La bambola muta e immobile è la felicità sicura tanto desiderata dall’usuraio che non porta con sé nessuna minaccia, nessun tipo di ostacolo. Lei non è nemmeno una persona ma una marionetta. Non appena sposa l’usuraio parla, racconta la sua storia e diventa lo strumento narcisistico dell’uomo che cerca in tutte le maniere di farla ritornare inanimata in un diabolico percorso di spersonalizzazione che culminerà nel suicidio della ragazza.
La regia di César Brie descrive sulla scena in maniera evocativa il rapporto d’amore perverso e mortifero di questa coppia. L’usuraio muove i fili della ragazza incapace di ribellarsi alle sue angherie; lei non chiede, non esige, non combatte: è una vittima destinata al sacrificio. La scena scarna si fa specchio della vita misera dei due protagonisti, i brevi momenti di serenità sono solamente accennati, poi i cambi di luce e i movimenti rigidi degli attori riportano gli spettatori nel mondo grigio e cupo della Mite.
È un limbo astratto ritmato da improvvisazioni nate sullo studio dell’opera, com’è nello stile del regista argentino, o dagli elementi della scenografia: il tavolo che si trasforma da letto di morte a banco dei pegni per infine regalare al pubblico un’ultima scena suggestiva, dove si evoca un suicidio teatralmente perfetto. A volte, però, il ritmo preciso e asciutto della regia si distacca dalla recitazione dei due attori, troppo impegnati a seguire la psicologia dei personaggi e così facendo a dissociarsi dalla totalità scenica. Se Brie evoca, suggerisce, integra ogni singolo elemento, gli attori sembrano perdersi nei meandri interpretativi dettati dalla polifonia dostoevskijana dando troppo spessore al testo e strozzando dunque il flusso della narrazione drammaturgica. Un flusso che César Brie, abile nel creare atmosfere teatrali nelle storie, compone come una partitura musicale sul racconto di Dostoevskij.
Solamente nel finale i due attori si lasciano andare senza badare alla complessità psicologica dei propri personaggi, diventando tutt’uno con la scena. Ecco allora che il circuito infernale di odio e “amore” allestito dall’usuraio s’arresta di fronte alla morte che pareggia ogni gioco di potere: la donna cadavere, la Mite, giace sui due tavoli da gioco, simbolo di frattura irreparabile e dell’impossibilità di tollerare la separazione e il conflitto.
Ascolto consigliato
Teatro dell’Orologio, Roma – 12 febbraio 2016
In apertura: Foto di scena ©Manuela Giusto_Teatro dell’Orologio
Crediti ufficiali:
LA MITE
Liberamente tratto dal racconto di Fëdor Dostoevskij
adattamento e regia di César Brie
con Clelia Cicero e Daniele Cavone Felicioni
produzione Teatro Presente